mercoledì 14 dicembre 2011

Al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.

Signor Presidente, perché non si dimette? Mi scuserà se sono troppo diretto, ma è inutile girare intorno alle parole. Sono qui che vorrei scriverle delle mie osservazioni, a patto però che poi non mi venga scagliato l’anatema del vilipendio contro il Capo dello Stato.

Non le nascondo che ogni mattina che mi alzo vorrei poter scagliarlo io l’anatema del Vilipendio contro la Mia Persona ai danni della Repubblica Italiana, ma sa sono sicuro che non avrebbe molto effetto, diretta pratica quotidiana di comprendere che il potere è unidirezionale, in Italia soprattutto.

Certo, pensandoci bene, e dovendo scrivere una lettera ad un potente, non verrebbe mai da pensare di scrivere al Presidente della Repubblica Italiana. Certo io vorrei che Lei fosse potente, ma per davvero, e che mettesse a tacere il continuo bla bla di quelli che la circondano nella politica odierna.

Non è una questione personale sig. Giorgio Napolitano, e mi auguro che non me ne vorrà, ma perché non si gode la pensione a 82 anni? Sono veramente tanti e gliene ne auguro ancora di più, anche se la biologia è un fatto e non un desiderio.

La mattina quando mi sveglio in questa Italia stanca, contrita, furba, arrabbiata, delusa e in perenne debito da carte di credito, osservo il primo inter pares degli italiani e vedo lei. Avrei voglia di tornarmene a letto. Non ce la vedo nella metropolitana di una città come Roma, a 82 anni cadrebbe a terra alla prima frenata. Certo, si potrebbe sedere, ma nessuno lascia il posto a nessun altro. Anzi quando qualcuno cede il posto ad un anziano, ad uno zoppo, ad una donna incinta, questo qualcuno riceve un’occhiata che sa di beatificazione, mentre dovrebbe essere normale civiltà. Banale, ma vero.

Se mi soffermo un attimo a pensare alla presidenza della Repubblica, senza offesa naturalmente, non vedo altro che un pensionato di lusso, anzi di gran lusso. Ultimamente, devo ammettere, ha avuto anche il coraggio civile di pubblicare le cifre della gestione del Quirinale: 235 milioni di euri, pari a 454.960.000.000 vecchie lire. Per un paio di migliaia di persone? Ma non le sembra troppo? Se non mi ricordo male, Lei era anche comunista, non si agita sulla sedia a leggere queste cifre? E si paga anche 5 euri per poter visitare il Palazzo del Quirinale. Ma dai, non ne avete proprio abbastanza? Lo sa caro Presidente che in Ungheria, per esempio, tutte le sedi istituzionali sono visitate gratis dagli ungheresi, mentre pagano solo i turisti? E sa perché? Perché i cittadini devono avvicinarsi alle istituzioni. Ed io devo pagare 5 euri per vedere il Quirinale?

E parlando sempre dei costi, non la innervosisce sapere che chi pulisce il cesso al Quirinale ha fin troppi privilegi in confronto a chi pulisce i cessi di una semplice metropolitana?

Lo so, sarà una fissa la mia Presidente, quella della metropolitana, ma se la usasse ogni giorno capirebbe che l’incidente in cui è morta una pendolare a Piazza Vittoria, a Roma è stato solo un semplice e puro miracolo. Se ci prestasse una parte di quei 235 milioni di euri, forse qualcosa si potrebbe fare.

Dicevamo del pensionato di lusso: certo non come nonno Giovanni che tira a campare con 500 euri. Si è vero, pensandoci bene, non ci sarebbe granché da scrivere ad un potente del suo calibro, perché, tutto è, meno che potente. Ma anziano sì, e allora non è giunto il tempo di farsi da parte?

In un paese gerontocratico, ci mancava solo Lei. 82 anni, a ripeterli non ci si crede. Ma a cosa servirà mai? Quando è salito sul Colle, espressione che sembra rubare il dolore alla cristianità, mi sono sovvenute due domande: come è un trasloco di gran lusso da un quartiere bene di Roma ad un altro. E l’altra riguarda la sua storia personale. Ma andiamo con ordine. Beato Lei che ha traslocato, con il caro affitto che c’è a Roma, avere due belle case non è da poco, e tutto questo non lavorando come privato, ma per lo Stato. Non male. Immagino, retoricamente, i giovani che pagano 500 eurinaturalmont con contratto a progetto, sa quella splendida invenzione (di sinistra ahimè, Gaber Gaber dove sei ormai?) che permette agli imprenditori di non pagare tasse, tredicesima, quattordicesima, malattia ma guadagnano lo stesso anzi di più? di affitto e ne guadagnano poco più di 800/900,

Chissà se conosce minimamente il costo degli affitti a Roma, forse sì, ma quando si guadagna quello che si guadagna con la paga di un deputato o senatore chi se ne frega dei conti. Eppure molti di voi non sono neanche laureati e mai hanno lavorato, eppure pretendono di comprendere un paese che lavora. Lei indubbiamente è una persona di cultura, ma non si trova a disagio con gente che non sa nulla, ma proprio nulla, come se avessero marinato la scuola già dall’asilo? Immagino proprio di sì.

La sua storia personale: finalmente un comunista che sale al Quirinale. Embè? Siamo proprio così americani non le sembra, basta pronunciare il sostantivo comunista che tutto sembra fosco, forse solo ridicolo. Non ho visto nessun evento straordinario nella sua elezione, solo un uomo anziano. La sua storia personale l’ha portata subito in Ungheria, a Budapest a deporre fiori ai caduti della rivoluzione del 1956. Lavarsi subito l’onta di non aver compreso il grido disperato di libertà di un popolo. Già, loro gli ungheresi (ritornano più volte come vede) avevano i comunisti, noi gli americani, con il Cermis, Ustica, Gladio e altre sciocchezze di mezzo. Ha deposto fiori che forse se deponeva sulla tomba di questa nazione avrebbero avuto maggior senso e bellezza. Della sua storia personale mi rimarrà impresso il suo essere stato il primo Ministro degli Interni non democristiano. Mi ricordo il periodo, così denso di speranza: Prodi parlava e si capiva anche. Invece Bossi parlava ma non si capiva. Berlusconi non era poi questa grande ed inamovibile pietra contro la democrazia italiana. Avevamo vinto, per la prima volta e finalmente mettevamo piede ( e si sperava mani) negli armadi dei misteri italiani.

Per la verità ci ha messo piede Lei, e si è visto: non è accaduto nulla. Nessuna verità per la strage di Bologna, nessun disvelamento di grandi intrecci mafia politica. Niente di niente. La Democrazia Cristiana continuava a dominare il Ministero dei misteri italici. Eppure all’epoca non era così anziano Presidente, aveva solo, mi faccia fare i conti, ecco, sì 73 anni. Già, nulla successe e tutte le speranze di chiarezza andarono perse nel giro di poco. Forse anche Lei si è ritrovato con le mani legate da intrecci così scandalosi da non poterne parlare, patti sì scellerati che non si potevano toccare, pena il tracollo della nostra miseranda nazione. Eppure credevo che dopotutto questo si sarebbe goduto la meritata pensione. O lo stipendio, qualsiasi cosa, ma sicuramente avrà famiglia, nipoti e pronipoti. Ed invece eccola Presidente, a rappresentare l’Italia con tutti i suoi anni e la sua storia personale, come se un onesto lavoratore cassintegrato della Cirio non abbia una storia personale e dignitosa, per non parlare del famigerato metalmeccanico di sempre. Ed io mi sono sentito uno dei suoi nipoti, certo senza il privilegio di dire chi è mio zio. Qualche volta seguo i suoi discorsi, buoni solo per l’ANSA, ultimamente poi sono tanti devo dire che è sempre presente. Ma dica al suo ufficio stampa che è inutile che far pubblicare due pagine di suoi interventi, la gente, sempre in metropolitana, gira le pagine a piè sospinto. Tanto si sa che saranno parole di circostanza e mai taglienti, e distraggono poco l’attenzione.

Belle ed inutili parole.

Per ironia della sorte c’è chi segue i suoi discorsi: sono gli italiani all’estero, cioè gli emigranti. Ho visto le facce di profonda delusione, quando hanno ascoltato il suo discorso, letto le sue parole il giorno dopo che li menzionava, appena appena nella chiusura del gran discorso di fine anno. Io stavo con loro, dall’altra parte del mondo. Volevano che si ricordasse di loro, lo volevano per non sentirsi orfani e invece niente.

Così si è alienato anche un possibile e benevolo pubblico che la voleva ascoltare veramente. Scherzi dell’età, non si preoccupi. Come non si deve preoccupare del fatto che di tutte le foto dei mondiali del 2006 non ce ne sia una memorabile e storica che la ritrae e la consegna alla storia, almeno quella del pallone. Mi permetta di fare un paragone con il presidente partigiano, celebrato anche in una canzone (quando si dice lasciare il segno per davvero), di Lei non c’è neanche una foto decente. I mondiali del 1982 non sono nulla se non ci fanno vedere la faccia del grande vecchio Pertini che si dimena come un ultrà per i gol. Ancora meglio la faccia da partigiano mentre gioca a carte con i nostri eroi sull’aereo del ritorno dalla Spagna.

Me lo può confessare Presidente, quella sera avrebbe preferito starsene a casa tranquillo. Con la sua età, tutto quello schiamazzo, quel rumore, quell’ufficialità. Confesso, non amo il pallone neanche io, ma la nazionale, beh, che ci vuole fare italiano sono alla fin fine.

Poteva regalare il suo biglietto a qualcuno, vero non aveva biglietto, Lei entra pagato dovunque. O si ricorda di quando ha invocato giustizia per Giovanna Curcio? Immagino di farle questa domanda a bruciapelo, e la vedo che si china verso un suo assistente a chiedere informazioni. Ma come, la ragazzina bruciata viva a 15 anni perché lavorava, in nero, in una fabbrica di materassi vicino Salerno? Se lo ricorda? Neanche alla sua età è permesso dimenticare questo. Il suo discorso chiedeva (vibrava mi sembra un termine a appropriato) giustizia. Le ripeto quello che scrissi in quei giorni: perché non è andato al funerale di quella ragazza, perché non ha portato a spalla la sua bara? Perché signor Presidente? Poteva farsi aiutare dai suoi assistenti, ma Lei ha 82 anni e la bara di una ragazza di soli 15 anni pesa troppo, di tristezza e della nostra infamia. A cosa serve un Presidente che non porta a spalla i giovani della nazione che rappresenta, morti perché sfruttati, vilipesi, ed infine dimenticati? Perché non va lì giù a piantare un casino infinito finché i colpevoli siano punti: non messi al rogo o su una sedia elettrica, ma qualcuno deve pagare per la morte di un innocente, o no?

Eppure Lei è di Napoli, la città che ha avuto sì tanto orgoglio nel saperla eletta, e il giorno dopo ha continuato a sparare tranquillamente, ma non solo per camorra, termine abusato, ma anche per inedia, per ferocia gratuita, coltellate per un’occhiata di troppo. Salerno non dista troppo da Napoli. Qui giungiamo al punto signor Presidente, non tutto è perduto. A 82 anni qualcosa si può fare ancora. Cominciamo da Napoli. Non mi dica solo che è rammaricato, che vuole uno scatto di reni da parte dei cittadini e delle autorità. Non si rende conto che sono tutte chiacchiere.

Prenda Lei l’iniziativa, vada a Scampia e si affitti una casa, non costano tanto, e si sistema lì per qualche mese. Sicuramente l’ambiente diventerebbe subito più tranquillo, ci sarebbe più polizia, e poi si immagina che bella provocazione? Lei che si sveglia la mattina a Scampia e va a prendersi la sua tazzulella di caffè di fronte al super carcere? Cambierebbe qualcosa? Buona domanda, sicuramente no, ma vuole mettere il divertimento e finalmente un Presidente che fa il suo lavoro di Presidente e che darebbe una scossa micidiale a tutti? E durante quel mese nel quartiere sa cosa altro si può fare, andare a visitare le fabbriche dove i suoi cittadini italiani sono sfruttati per bene. Si immagini, Lei che entra in una fabbrica di cassettini di legno e trascorre una giornata con rumeni, polacchi, italiani sfigati per 5 euri al giorno. Certo non esiste solo Napoli e la camorra, come non esiste solo la Sicilia e la mafia, ma credo che questi sono due problemi urgenti, non crede? Non lo devo dire a Lei, è napoletano, se non erro. Dopodiché Presidente potrebbe tornare a Roma, o andare in qualsiasi grande città e lavorare un poco nei call center. Non so se la prenderebbero, la sua età, questi benedetti 82 anni sono proprio tanti, ma almeno può immedesimarsi nei 400 euri a contratto a progetto che danno alla gioventù di questa nazione. La vedo con le cuffie in testa a rispondere di questioni delicate, perché informazioni importanti si danno ai call center, e intrattenere chi chiama perché più parla più si guadagna. Sarebbero sette anni di fuoco, indimenticabili per Lei e per noi. Tanto di cosa dovrebbe aver paura, gli anni sono quelli e sono tanti, qualche sfizio se lo può togliere. Mica la possono licenziare. E quando il fiatone aumenta, altra grande azione di disturbo: prenda un mezzo pubblico e se ne va in qualche ambulatorio sporco che ben rappresenta il paese che Lei rappresenta. Si attende qualche ora, è vero, ma almeno lì può trovare gente con problemi reali. Immagini per un momento, Lei presidente dal passato comunista che rinuncia ai privilegi, che si ricorda di essere stato giovane un tempo e di aver detto cose giuste e non noiose. Che per un attimo ha un moto di orgoglio, Lei e non la nazione, e se ne esca dalla naftalina in cui l’hanno messa e stravolga le regole del gioco. Già la vedo a chiedere il suo stipendio, con accanimento, al padrone che non vuole pagarla a fine mese, già la vedo combattere contro la non assunzione, inorridire alla lettura di un contratto a progetto, già la vedo timoroso in mezzo alla strada che qualcuno le possa scippare l’orologio o rubarle il portafoglio. Ma ci pensi Lei gioca con un vantaggio enorme. Lei è il Presidente e in questa qualità non potrebbe dire agli sfaticati politicanti che starnazzano in TV di stare un poco in silenzio e di non proferire ignoranza e retorica a spron battuto? E ci liberi dal tutto e il contrario di tutto, alzi la sua voce, di grande vecchio, e ci liberi dal giogo dei poteri forti. Non può certo chiederlo a me di battermi contro i cattivi e i forti. Io non ho nessuna scorta. Invece Lei sì. Ormai il tempo passa inesorabile, non sarebbe il momento di fare qualcosa che un giorno possa cambiare le parole, già le sento, del: onesta ed integra carriera politica al servizio della Nazione. Parole che vogliono dire tutto e niente e che non avranno nessuna reale commozione per una sua ipotetica e mi auguro lontana nel tempo dipartita. Lei può fare tanto e se segue qualche mio consiglio, veramente allora ho scritto la lettera ad un potente. Allo stato dei fatti Lei è una controfigura di uno Stato triste ed io lo specchio dei giorni che vivo. Sig. Napolitano diventi Presidente per davvero, lasci stare questa ingessatura che si porta dietro come un catafalco. Altrimenti non dovrò più cederle quando invita ad inorridirsi per il male che accade, dispiaciuto per l’emigrante che muore in mare e per il ragazzo accoltellato in mezzo alla strada. La voglio bene, e sono sicuro che se mi invita a cena potrei ascoltare tante storie interessanti. Ma non da Lei, venga da me, senza scorta che altrimenti la spesa è esagerata, e ci facciamo due passi insieme. Immagini per un momento, Lei sig. Presidente che scuote come un lenzuolo questa nostra nazione e gli da una bella rinfrescata. Non ci deluda, mi raccomando, si può dire di tutto degli anziani, ma non che non abbiano follia, saggezza e soprattutto la vista lunga. Inneschi la follia Presidente, sono sicuro che in milioni la seguiranno.

Diceva bene il Presidente dell’uno che diventa due, ma non per questo il 51 diventa 52.

Cordialmente

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martedì 29 novembre 2011

I Massoni e la Sinistra Italiana

Il Gruppo Bilderberg nasce nel 1952, ma viene ufficializzato due anni più tardi, a giugno del 1954, quando un ristretto gruppo di vip dell’epoca si riunisce all’hotel Bilderberg di Oosterbeek, in Olanda. Da quel momento le riunioni si sono svolte una o due volte all’anno, nel più totale riserbo. In occasione di una delle ultime, nella splendida e appartata resort di Sintra, in Portogallo, il settimanale locale News riportò una notizia secondo cui il Governo avrebbe ricevuto migliaia di dollari dal Gruppo per organizzare «un servizio militare compreso di elicotteri che si occupasse di garantire la privacy e la sicurezza dei partecipanti». Ma torniamo agli esordi. I primi incontri si sono svolti esclusivamente nei paesi europei, ma dall’inizio degli anni ’60 anche negli Usa. Tra i promotori - precisano alcuni studiosi della semi sconosciuta materia - occorre ricordare due nomi in particolare: sua maestà il principe Bernardo de Lippe, olandese, ex ufficiale delle SS, che ha guidato il gruppo per oltre un ventennio, fino a quando, nel 1976, è stato travolto dallo scandalo Lockheed; e Joseph Retinger, un faccendiere polacco al centro di una fittissima trama di rapporti con uomini che per anni hanno contato sullo scacchiere internazionale della politica e dell’economia.
«La loro ambizione - viene descritto - era quella di costruire un’Europa Unita per arrivare a una profonda alleanza con gli Stati Uniti e quindi dar vita a un nuovo Ordine Mondiale, dove potenti organizzazioni sopranazionali avrebbero garantito più stabilità rispetto ai singoli governi nazionali. Fin dalla prima riunione vennero invitati banchieri, politici, universitari, funzionari internazionali degli Usa e dell’Europa occidentale, per un totale di un centinaio di personaggi circa».

Ecco cosa hanno scritto alcuni giornalisti investigativi inglesi nel magazine on line di Bbc News a pochi giorni dal meeting di Stresa. «Si tratta di una delle associazioni più controverse dei nostri tempi, da alcuni accusata di decidere i destini del mondo a porte chiuse. Nessuna parola di quanto viene detto nel corso degli incontri è mai trapelata. I giornalisti non vengono invitati e quando in qualche occasione vengono concessi alcuni minuti a qualche reporter, c’è l’obbligo di non far cenno ad alcun nome. I luoghi d’incontro sono tenuti segreti e il gruppo non ha un suo sito web. Secondo esperti di affari internazionali, il gruppo Bilderberg avrebbe ispirato alcuni tra i più clamorosi fatti degli ultimi anni, come ad esempio le azioni terroristiche di Osama bin Laden, la strage di Oklaoma City, e perfino la guerra nella ex Jugoslavia per far cadere Milosevic. Il più grosso problema è quello della segretezza. Quando tante e tali personalità del mondo si riuniscono, sarebbe più che normale avere informazioni su quanto sta succedendo».
Invece, tutto top secret. Scrive un giornalista inglese, Tony Gosling, in un giornale di Bristol: «Secondo alcune indiscrezioni che ho raccolto, il primo luogo nel quale si è parlato di invasione dell’Iraq da parte degli Usa, ben prima che ciò accadesse, è stato nel meeting 2002 dei Bilderberg». Di parere opposto un redattore del Financial Times, Martin Wolf, più volte invitato ai meeting: «L’idea che questi incontri non possano essere coperti dalla privacy è fondamentalmente totalitaria; non si tratta di un organismo esecutivo, nessuna decisione viene presa lì». Fa eco uno dei fondatori, anche lui inglese, lord Denis Healey: «Non c’è assolutamente niente sotto. E’ solo un posto per la discussione, non abbiamo mai cercato di raggiungere un consenso sui grandi temi. E’ il migliore gruppo internazionale che io abbia mai frequentato. Il livello confidenziale, senza alcun clamore all’esterno, consente alle persone di parlare in modo chiaro».

Ed ecco cosa scrive un altro studioso di ordini paralleli e di gruppi e associazioni che agiscono sotto traccia, Giorgio Bongiovanni. «Bilderberg rappresenta uno dei più potenti gruppi di facciata degli Illuminati (una sorta di super Cupola mondiale, ndr). Malgrado le apparenti buone intenzioni, il vero obiettivo è stato quello di formare un’altra organizzazione di facciata che potesse attivamente contribuire al disegno degli Illuminati: la costituzione di un Nuovo Ordine Mondiale e di un Governo Mondiale entro il 2012. Sembra che le decisioni più importanti a livello politico, sociale, economico-finanziario per il mondo occidentale vengano in qualche modo ratificate dai Bilderberg».
«Il Gruppo - scrive ancora Bongiovanni - recluta politici, ministri, finanzieri, presidenti di multinazionali, magnate dell’informazione, reali, professori universitari, uomini di vari campi che con le loro decisioni possono influenzare il mondo. Tutti i membri aderiscono alle idee precedenti, ma non tutti sono al corrente della profonda verità ideologica di alcuni membri principali». I veri ‘conducator’- secondo questa analisi - i quali a loro volta fanno anche parte di altri segmenti strategici nell’organigramma degli Illuminati. Due in particolare: la Trilateral e la Commission of Foreign Relationship, nata nel 1921, la quale riunisce a sua volta tutti i personaggi che hanno fra le loro mani le leve del comando negli Usa. «Questi membri particolari - prosegue Bongiovanni - sono i più potenti e fanno parte di quello che viene definito il ‘cerchio interiore’. Quello ‘esteriore’, invece, è l’insieme degli uomini della finanza, della politica, e altro, che sono sedotti dalle idee di instaurare un governo mondiale che regolerà tutto a livello politico e economico: insomma, le ‘marionette’ utilizzate dal cerchio interiore perché i loro membri sanno che non possono cambiare il mondo da soli e hanno bisogno di collaboratori motivati e mossi anche dal desiderio di danaro e potere». Passiamo, per finire, alla Trilateral, vero e proprio luogo cult del Potere nascosto, in grado comunque di condizionare i destini del mondo. Ovviamente ‘sponsorizzato’ della star dell’imprenditoria multinazionale, come Coca Cola, Ibm, Pan American, Hewlett Packard, Fiat, Sony, Toyota, Mobil, Exxon, Dunlop, Texas Instruments, Mutsubishi, per citare solo le più importanti.

L’associazione nasce nel 1973, sotto la presidenza “democratica” di Jimmy Carter e del suo consigliere speciale per la sicurezza, Zbigniew Brzezinsky, il vero deux ex machina. A ispirare il progetto, le famiglie Rothschield e Rockfeller, i Paperoni d’America. Un progetto che ha irresistibilmente attratto i potenti del mondo, a cominciare proprio dai presidenti Usa, con un Bill Clinton in prima fila. Così descriveva Giovanni Agnelli la Trilateral: «Un gruppo di privati cittadini, studiosi, imprenditori, politici, sindacalisti delle tre aree del mondo industrializzato (Usa, Europa e Giappone, ndr) che si riuniscono per studiare e proporre soluzioni equilibrate a problemi di scottante attualità internazionale e di comune interesse». Il solito ritornello.
Di diverso avviso il giornalista Richard Falk, che già nel 1978 - quindi a pochissimi anni dalla nascita - scrive sulle colonne della Monthly Review di New York: «Le idee della Commissione Trilaterale possono essere sintetizzate come l’orientamento ideologico che incarna il punto di vista sopranazionale delle società multinazionali, che cercano di subordinare le politiche territoriali a fini economici non territoriali». E’ la filosofia delle grandi corporation, che stanno privatizzando le risorse di tutto il pianeta, a cominciare dai beni primari, come ad esempio l’acqua: non solo riescono a ricavare profitti stratosferici ma anche ad esercitare un controllo politico su tutti i Sud - e non solo - del mondo. La logica della globalizzazione. E i bracci operativi di questo turbocapitalismo sono proprio due strutture che dovrebbero invece garantire il contrario: ovvero la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale.
«Entrambi - scrive uno studioso, Mario Di Giovanni - sotto lo stretto controllo del ‘Sistema’ liberal della costa orientale americana. Agiscono a tutto campo nell’emisfero meridionale del pianeta, impegnate nella conduzione e ‘assistenza’ economica ai paesi in via di sviluppo». E proprio sull’acqua, la Banca Mondiale sta dando il meglio di sé: con la sua collegata IFC (Internazionale Finance Corporation) infatti sta mettendo le mani sulla gran parte delle privatizzazioni dei sistemi idrici di mezzo mondo, soprattutto quello africano e asiatico, condizionando la concessione dei fondi all’accettazione della privatizzazione, parziale o più spesso totale, del servizio. Del resto, è la stessa Banca a calcolare il business in almeno 1000 miliardi di dollari… Scrive ancora Di Giovanni: «Le decisioni assunte dai vertici della Trilateral riguarderanno sempre di più quanti uomini far morire, attraverso l’eutanasia o gli aborti, e quanti farne vivere, attraverso un’oculata distribuzione delle risorse alimentari. Decisioni che riguarderanno l’ingegneria genetica, per intervenire nella nuova ‘umanità’. In una parola, tutto ciò che definitivamente distrugga il ‘vecchio’ ordine sociale, cristiano, per la creazione di un nuovo ordine. Ma tutto questo senza particolari scossoni. Non vi sarà bisogno di dittature, visto che le democrazie laiche e progressiste, condotte da governi di ‘centrosinistra’, servono già così efficacemente allo scopo. Governi che riproducono - conclude - una formula già sperimentata lungo l’intero corso del ventesimo secolo e plasticamente rappresentata dal passato governo Prodi-D’Alema: l’alleanza fra la borghesia massonica e la sinistra, rivoluzionaria o meno».

Tutti i nomi degli italiani in Bilderberg
Pubblichiamo l’elenco delle personalità italiane che hanno preso parte almeno una volta dal 1982 ad oggi, si summit internazionali dei Bilderberg. Sotto a ciascun nome, la qualifica che ricoprivano al momento dell’ultima partecipazione. Con l’asterisco rosso, i nomi dei partecipanti al summit del 2004 di Stresa. Con quello azzurro, coloro che vengono indicati come “membri” o che hanno rivestito cariche di vertice all’interno della lobby.

AGNELLI GIOVANNI *
AGNELLI UMBERTO *
AMBROSETTI ALFREDO * Presidente Gruppo Ambrosetti
BERNABE’ FRANCO * Ufficio italiano per le iniziative sulla Ricostruzione nei Balcani
BONINO EMMA Membro della Commissione Europea
CANTONI GIAMPIERO Presidente BNL
CARACCIOLO LUCIO * Direttore Limes
CAVALCHINI LUIGI G. Unione Europea
CERETELLLI ADRIANA Giornalista, Bruxelles
CIPOLLETTA INNOCENZO Direttore Generale Confindustria
CITTADINI CESI GIAN C. * Diplomatico USA
DE BENEDETTI RODOLDO * CIR
DE BORTOLI FERRUCCIO * RCS libri
DE MICHELIS GIANNI Ministro degli Affari Esteri
DRAGHI MARIO Direttore Min. Tesoro
FRESCO PAOLO Presidente FIAT
GALATERI GABRIELE Mediobanca
GIAVAZZI FRANCESCO * Dicente Economia Bocconi
LA MALFA GIORGIO Segretario nazionale PRI
MARTELLI CLAUDIO Deputato – Ministero Grazia e Giustizia
MASERA RAINER S. Direttore generale IMI
MERLINI CESARE * Vicepresidente Council for the United States and Italy
MONTI MARIO * Commissione Europea
PADOA SCHIOPPA TOMMASO * BCE Banca Centrale Europea
PASSERA CORRADO * Banca Intesa
PRODI ROMANO * Presidente UE
PROFUMO ALESSANDRO Credito Italiano
RIOTTA GIANNI * Editorialista La Stampa
ROGNONI VIRGINIO Ministero della Difesa
ROMANO SERGIO Editorialista La Stampa
ROSSELLA CARLO Editorialista La Stampa
RUGGIERO RENATO * Vicepresidente Schroder Salomon Smith Barney
SCARONI PAOLO * ENEL Spa
SILVESTRI STEFANO * Istituto Affari Internazionali
SINISCALCO DOMENICO Direttore Generale Ministero Economia
SPINELLI BARBARA Corrispondente da Parigi – La Stampa
STILLE UGO Corriere della Sera
TREMONTI GIULIO * Ministro dell’Economia
TRONCHETTI PROVERA MARCO * Pirelli Spa
VELTRONI VALTER Editore L’Unità
VISCO IGNAZIO * Banca d’Italia
VITTORINO ANTONIO Commissione Giustizia UE
ZANNONI PAOLO * FIAT


I principali vip esteri al summit 2004

DAVIGNON ETIENNE (Suez-Tractebel)
TAYLOR MARTIN (Goldman Sachs International)
ACKERMANN JOSEF (Deutsche Bank AG)
BARNAVIE ELIE (Department of History, Tel Aviv)
BOLKESTEIN FRITS (Commissione Europea)
BOOT MAX (Wall Street Journal)
BOREL DANIEL (Logitech International)
BURGMANS ANTONY (Unilever)
CAMUS PHILLIPE (European Aeronautics Defence and Space)
CLARKE KENNETH (British American Tobacco)
COLLINS TIMOTHY C. (Yale School of Management, Trilateral Commission)
DAVID GEORGE A. (Coca-Cola Hellenic Botting Company)
DE CASTRIES HENRI (AXA Insurance)
DE VRIES GUS (UE coordinatore antiterrorismo)
DERVIS KEMAL (Banca Mondiale GR)
DIAMANTOPOULOU ANNA (Comm. Europea Affari Sociali)
EDWARDS JOHN (Senatore, candidato alla presidenza USA)
GATES MELINDA F. (Gates Foundation)
GEITHNER TIMOTHY F. (Presidente Federal Reserve Bank of New York)
GRAHAM DONALD E. (Washington Post Company)
HEIKENSTEIN LARS (Governatore Swedish Central Bank)
HUBBARD ALLEN B. (Presidente E&A Industries)
ISSACSON WALTER (Presidente Aspen Institute)
KERR JOHN (Direttore Shell)
KISSINGER HENRY A. (Kissinger Associates Inc.)
LONG YONGTU (Boao forum for Asia)
LOPES PEDRO M. SANTANA (Sindaco di Lisbona)
MYKLEBUST EGIL (Scandinavian Airline)
NOOYI INDRA K. (Presidente Pepsi Cola Inc.)
OLLILA JORMA (Presidente Nokia Corporation)
ROCKEFELLER DAVID (JP Morgan International Council)
ROSS DENNIS P. (Washington Institute for Near East Policy)
SIKORA SLAWOMIR (Presidente Citibank Handlowy)
SOCRATES JOSE (Membro del Parlamento Europea)
TRICHET JEAN-CLAUDE (Presidente European Central Bank)
UNDERDAL AROLD (Rettore Università di Oslo)
VASELLA DANIEL L. (Presidente Novartis AG)
VERWAAYEN BEN J. M. (British Telecom)
WEBER JURGEN (Deutche Lufthansa AG)
WOLF MARTIN H. (Commentatore economico Financial Times)
WOLFENSON JAMES D. (Presidente Banca Mondiale)

venerdì 25 novembre 2011

LA STORIA SI RIPETE!!!!

QUESTA E' LA GERMANIA!!!!!
Un paese affronta una voragine economica e politica: il governo è sull'orlo della bancarotta e persegue politiche di austerità feroce; dipendenti pubblici si pagano enormi tagli e le tasse sono aumentate drasticamente, i crolli dell'economia e tassi di disoccupazione esplodere, la gente lotta l'un l'altro sulla strada mentre il crollo delle banche e del capitale internazionale del paese fugge. Grecia nel 2011? No, la Germania nel 1931.

La testa del governo non è Lucas Papademos, ma Heinrich Brüning. La "fame-cancelliere" tagli alla spesa del governo per decreto, ignorando il Parlamento mentre il PIL scende senza limiti. Due anni dopo Hitler sarà al potere, otto anni dopo la seconda guerra mondiale avrà inizio. Situazione politica di oggi è ancora sbagliata, ma le analogie economiche sono spaventosi.

Come nei paesi in crisi di oggi, il problema chiave della Germania nel 1931 fu debiti esteri. Gli Stati Uniti erano più grande creditore della Germania, della Germania debiti denominati in dollari USA. Dalla metà degli anni 1920, il suo governo aveva preso in prestito ingenti somme all'estero ai pagamenti riparazione di servizio nei confronti di Francia e Gran Bretagna. Credito estero anche finanziato Germania ruggenti anni Venti - il boom economico, dopo l'iperinflazione 1923. Come oggi la Spagna, Irlanda e Grecia, Germania 1920 ripresa è stato causato da una bolla del credito.

La bolla è scoppiata quando i mercati finanziari statunitensi crollò nel 1929. Investitori statunitensi e banche sono stati colpiti duramente, ha perso la fiducia e ridotto i rischi - in particolare i loro investimenti in attività europee. Flussi di credito in Germania, Austria e Ungheria si fermò all'improvviso. Investitori statunitensi non volevano Reichsmark - moneta tedesca - ma dollari, una moneta la Reichsbank tedesca non poteva stampa. Il ritiro di dollari dalla Germania - soprattutto al di fuori dei depositi bancari tedeschi - ha portato al rapido esaurimento delle riserve della Reichsbank di valuta.

Per guadagnare di dollari la Germania ha dovuto trasformare il suo enorme deficit delle partite correnti in un avanzo. Ma come paesi in crisi di oggi, la Germania era intrappolato in un sistema monetario con tassi di cambio fissi, il gold standard, e non poteva svalutare la sua moneta. Tuttavia, anche dopo aver lasciato il gold standard, cancelliere Brüning ed i suoi consiglieri economici temevano gli effetti inflazionistici di una svalutazione e un replay della iperinflazione 1923.

Senza liquidità in dollari dall'estero, l'unico modo il governo potrebbe girare il conto corrente era forte e la deflazione dei salari dei costi. In soli due anni Brüning tagliare la spesa pubblica del 30%. Il cancelliere aumentato le tasse e tagliare i salari e le spese di previdenza sociale di fronte alla disoccupazione crescente e la povertà. PIL reale è diminuito dell'8% nel 1931 e del 13% un anno dopo, la disoccupazione è aumentata al 30% e il denaro conservato fuoriuscita del paese. Le partite correnti hanno da un deficit enorme in un avanzo di piccole dimensioni.

Ma non c'erano abbastanza dollari disponibili sui mercati mondiali. Nel 1930 il Congresso degli Stati Uniti aveva introdotto la Smoot-Hawley tariffarie per impedire le importazioni del paese. I paesi con i debiti in dollari sono stati tagliati fuori dal mercato statunitense e non poteva guadagnare il denaro necessario per servire i loro debiti. La situazione non migliorò quando il presidente Hoover ha proposto una moratoria di un anno su tutti del debito estero della Germania. La moratoria era opposto, sia dalla Francia - che ha insistito sul pagamento delle riparazioni tedesche - e il Congresso degli Stati Uniti. Quando il Congresso ha finalmente approvato la moratoria nel dicembre del 1931 era troppo poco e troppo tardi.

Nell'estate del 1931, le banche tedesche cominciarono a mancare, causando sia una stretta creditizia ed enormi pacchetti di aiuti pubblici per salvare le banche più grandi. Le banche hanno dovuto essere chiusi e il governo in default sul suo debito. La moratoria Hoover e una politica di espansione fiscale sotto il successore di Brüning von Papen è arrivata troppo tardi: i fallimenti e disoccupazione in aumento e mantenuto i nazisti guadagnato terreno politico.

I paralleli alla situazione economica di oggi sono spaventosi: Grecia, Irlanda e Portogallo hanno di perseguire politiche di austerità feroce sotto la pressione dei paesi creditori e dei mercati finanziari al fine di trasformare i loro saldi di conto corrente dal deficit al surplus; disoccupazione greco è al 18%, Irlanda al 14% e del Portogallo al 12%, la Spagna è ancora al 22%. E quelli che potrebbero aiutare non fanno abbastanza: Germania e banchieri centrale tedesca domanda drastiche e dare solo parziali e insufficienti aiuterà in cambio - troppo poco, troppo tardi, di tanto in tanto.

Molto sarebbe stata acquisita per la Germania nel 1931 se gli Stati Uniti - e anche la Francia - aveva fornito la liquidità necessaria per le banche tedesche e il suo governo. Forse la radicalizzazione politica avrebbe potuto essere evitato. Ma gli Stati Uniti è stata svolta isolazionista. Non voleva essere coinvolto in affari europei disordinato.

Oggi la Germania gioca il ruolo degli Stati Uniti. Sia il parlamento e il governo esita a fornire l'aiuto necessario per i paesi in crisi: entro l'EFSF, la Germania è pronta a garantire solo fino a € 211bn di prestito crisi paese. Questo non è sufficiente. Nel 2008 garanzie per il sistema bancario tedesco erano € 480bn.

Germania insiste ancora sul suo surplus delle partite correnti. Questi sono, per definizione, i deficit dei paesi in crisi. Così continuano a questi paesi di guadagnare il denaro per servire i loro debiti. Inoltre, la Germania si oppone ferocemente crediti di liquidità da parte della BCE. Economisti tedeschi e banchiere centrale giustificare la passività della BCE con la minaccia di inflazione. Ma si mescolano le lezioni storiche della Germania del 1923 iperinflazione e la sua crisi 1931 deflazione e disoccupazione.

Questo fallimento del giudizio può facilmente ritorcersi contro: la reputazione della Germania in tutta Europa è già in declino, le tensioni politiche nei paesi in crisi con la disoccupazione record sono aumentata in modo drastico e la rottura sempre più probabile della zona euro potrebbe minacciare l'economia tedesca, soprattutto le sue banche e le esportazioni.

Gli Stati Uniti hanno imparato a mie spese che ha dovuto assumersi la responsabilità per la stabilità economica del mondo. La seconda guerra mondiale fu una delle conseguenze della crisi del 1930 che avrebbe potuto evitare.

Dopo essere riuscito a stabilizzare il sistema economico mondiale nei primi anni 1930, nel 1945 gli USA avevano imparato che solo la cooperazione economica potrebbe portare a un mondo pacifico e prospero. Attraverso il piano Marshall e l'apertura dei suoi mercati per le esportazioni europee ha permesso all'Europa di ricostruire la propria economia distrutta. Nel frattempo, gli esportatori statunitensi approfittato fame d'Europa per i beni di investimento e di consumo.

Fino a primi anni 1970 negli Stati Uniti ha portato il sistema di commercio internazionale e moneta - il sistema di Bretton Woods - garantendo la prosperità economica, un mercato libero con l'equità sociale e quindi l'economica pre-requisiti per la democrazia sociale.

Sia il pubblico tedesco e politici dovrebbero imparare dalla storia. Solidarietà con i paesi in crisi è in Germania di lungo periodo di interesse. Il governo tedesco dovrebbe smettere di abusare del suo potere di dettare il declino economico di altre nazioni. L'alternativa è la stagnazione economica e aumento delle tensioni fra le nazioni europee. Il verdetto è ancora: coloro che non sono disposti a imparare dalla storia è destinato a ripeterla.

giovedì 24 novembre 2011

ITALIA DERUBATA!!!

ITALIA DERUBATA!!!!!!!!!
Documentazione riepilogativa sul complotto del Britannia 14 gennaio 1993 La strategia anglo-americana dietro le privatizzazioni in Italia: il saccheggio di un'economia nazionale Documento diffuso dall'Executive Intelligence R...eview e dal Movimento Solidarietà Il 2 giugno 1992, a pochi giorni dall'assassinio del giudice Giovanni Falcone, si verificava in tutta riservatezza un altro avvenimento che avrebbe avuto conseguenze molto profonde sul futuro del Paese. Il «Britannia», lo yacht della corona inglese, gettava l'ancora presso le nostre coste con a bordo alcuni nomi illustri del mondo finanziario e bancario inglese: dai rappresentanti della BZW, la ditta di brockeraggio della Barclay's, a quelli della Baring & Co. e della S.G. Warburg. A fare gli onori di casa era la stessa regina Elisabetta II d'Inghilterra. Erano venuti per ricevere alcuni esponenti di maggior conto del mondo imprenditoriale e bancario italiano: rappresentanti dell'ENI, dell'AGIP, Mario Draghi del ministero del Tesoro, Riccardo Gallo dell'IRI, Giovanni Bazoli dell'Ambroveneto, Antonio Pedone della Crediop, alti funzionari della Banca Commerciale e delle Generali, ed altri della Società Autostrade. Si trattava di discutere i preparativi per liquidare, cedere a interessi privati multinazionali, alcuni dei patrimoni industriali e bancari più prestigiosi del nostro paese. Draghi avrebbe detto agli ospiti inglesi: "Stiamo per passare dalle parole ai fatti". Da parte loro gli inglesi hanno assicurato che la City di Londra era pronta a svolgere un ruolo, ma le dimensioni del mercato borsistico italiano sono troppo minuscole per poter assorbire le grandi somme provenienti da queste privatizzazioni. Ergo: dovete venire a Londra, dove c'è il capitale necessario. Fu poi affidato ai mass media, ed al nuovo governo Amato, il compito di trovare gli argomenti, parlare dell'urgente necessità di privatizzare per ridurre l'enorme deficit del bilancio. Al grande pubblico, sia il governo che i mass media hanno risparmiato la semplice verità che il "primo mobile" dietro tutto il dibattito sulle privatizzazioni è costituito dalle grandi case bancarie londinesi e newyorkesi. L'obiettivo è semplicemente quello di prendere il controllo di ogni aspetto della vita economica italiana sfruttando le numerose scuse di ingovernabilità, corruzione, partitocrazia, inefficienza, ecc. Prima di esercitarci a calcolare quante lirette il ministero del Tesoro potrebbe ottenere dalla svendita dell'ENI, dell'IRI ecc., cerchiamo di mettere in luce i presupposti filosofici dei banchieri londinesi e dei loro associati newyorkesi della Goldman Sachs, Merrill Lynch e Salomon Brothers e dei loro sostenitori nel Fondo Monetario Internazionale, nell'OCSE e nel mondo dei mass media. Queste grandi finanziarie di New York e Londra su cui si fonda il potere anglo-americano gestiscono il gioco della liberalizzazione dei mercati internazionali. Ne scrivono e riscrivono le regole per massimizzare di volta in volta i profitti. A Bruxelles contano su sir Leon Brittan, fratello del Samuel Brittan direttore del Financial Times. Fino al gennaio 1993 Leon Brittan è stato Commissario della CEE per la Politica di Concorrenza ed è l'autore delle regole bancarie ed assicurative che hanno favorito Londra, tanto criticate sia dalla Germania che dagli altri paesi membri della CEE. Sir Leon era un esponente del governo della Thatcher quando improvvisamente, nel gennaio del 1986, si dimise per andare a Bruxelles. Nonostante le illusioni di grandeur, Parigi è un centro finanziario che non può tener testa alla prepotenza anglo-americana, e lo stesso discorso vale per i finanzieri di Francoforte, così come quelli del Sol Levante. Pur disponendo delle maggiori istituzioni bancarie e assicurative, il Giappone non è in grado di offrire una valida resistenza alle manipolazioni finanziarie anglo-americane. La globalizzazione e il "Big Bang" londinese La formula che gli anglo-americani tentano oggi di spacciare ai governi di tutto il mondo, convincerli cioè a svendere i patrimoni dello stato per ottenere qualche liquido con cui far fronte al dissesto del bilancio ed al tempo stesso "promuovere la competitività", fu collaudata dalla finanza londinese alla fine del 1979, in particolare dalla N.M. Rothschild & Co., che coordinò la svendita generale per conto del governo della "Lady di Ferro". Così un ristretto gruppo di finanzieri ha dominato per quasi 12 anni l'economia inglese. Principalmente si tratta di esponenti della Società Mont Pelerin, come i consiglieri della Tatcher Karl Brunner, sir Alan Walters, lord Harris of High Cross ed altri ancora. La Società Mont Pelerin è stata presieduta internazionalmente fino a poco tempo fa dall'economista arciliberista Milton Friedman, ascoltatissimo dal Presidente Ronald Reagan. Friedman è l'architetto della politica economica imposta al Cile dalla dittatura di Augusto Pinochet. Essa si riduce all'idea di tenere il governo fuori da ogni intervento e lasciare che gli interessi privati facciano il bello e cattivo tempo. Friedman fece scalpore quando propose che l'eroina e gli altri stupefacenti venissero considerati alla stregua di una "merce" normale, in modo da permettere al consumatore di "scegliere liberamente" se acquistarla o meno. Sotto la rivoluzione "liberistica" imposta dalla Thatcher sono state messe all'asta le imprese migliori dell'Inghilterra, dalla British Petroleum alle compagnie del gas e dell'acqua, fino alla industria militare Vickers. Da quando la Thatcher è stata costretta ad andarsene vengono pian piano alla luce informazioni sempre più precise di come ad arricchirsi spudoratamente in quella "privatizzazione" furono principalmente gli amici della Lady di Ferro. D'altro canto quel "collaudo" dimostra come non sia affatto vero che l'industria, una volta privatizzata, diventi più efficiente. Dopo 13 anni di thatcherismo, quella britannica è la più arretrata tra le grandi economie europee. Negli investimenti per la Ricerca e Sviluppo del settore macchine industriali ed automobile, l'Inghilterra è stata superata anche dall'Italia. L'essenza del "liberismo" thatcheriano è dare la priorità assoluta alla finanza, a scapito dello sviluppo industriale dell'economia nazionale. Questa degenerazione britannica toccò il fondo nell'ottobre del 1986, quando il governo decretò la completa deregolamentazione finanziaria della City di Londra, che fu chiamata il "Big Bang". Poco meno di un anno dopo, la borsa di Londra crollò insieme a tutte le altre, travolte dalla frenetica spirale di speculazioni e truffe da essa iniziata. In Inghilterra il “problema” delle ditte di proprietà statale, come la British Leyland o la Jaguar, non era il fatto che esse fossero di proprietà dello stato, ma piuttosto che questo stato, amministrato dal governo della Thatcher, non volle impegnarsi in una oculata politica di pianificazione degli investimenti industriali, cosa caratteristica ad esempio del MITI in Giappone, perché quel governo esprimeva gli interessi dell'alta finanza e non quelli delle capacità produttive del paese. Oggi però dovrebbe essere chiaro anche ai non addetti che la deregolamentazione finanziaria londinese ha inesorabilmente portato alla rovina economica nazionale. L'Inghilterra versa nella peggiore crisi economica dagli anni Trenta, con la disoccupazione che è tornata ai livelli del 1979, quando si insediò la Thatcher. Il deficit del bilancio lievita ad un tasso annuale del 7% del PNL. Però, contrariamente alla situazione del 1979, oggi il governo britannico non dispone più di una propria base industriale con cui mettere in moto tutta una serie di investimenti nel settore industriale. Ma, a prescindere dal saccheggio compiuto da sir Jimmy Goldsmith, Jacob Rothschild, lord Hanson e compagnia dietro il paravento del "liberismo ad oltranza", la privatizzazione decisa della Thatcher va collocata nel contesto della strategia anglo-americana per aprire altre regioni economiche a forme molto sofisticate di saccheggio neo-coloniale, perpetrato con la "mano invisibile" tanto cara alle teorie liberistiche. Questa "mano invisibile" anglo-americana regola i meccanismi di fusioni ed acquisizioni operate da altri governi nella misura in cui questi sono così stupidi e sprovveduti da richiedere e pagare profumatamente "consulenze finanziarie" proprio a quella cricca di finanzieri. Alla fine degli anni Settanta, quando a Londra la Thatcher cominciò lo scontro col sindacato per ridurre i salari e cominciò a svendere le imprese statali ai suoi amici, a Wall Street gente come Donald Reagan, presidente della Merrill Lynch, e Walter Wriston, capo della Citicorp, si impegnarono a lanciare una "rivoluzione finanziaria" sulla stessa falsariga che in America fu chiamata "deregolamentazione dei mercati finanziari". Quando Ronald Reagan diventò presidente nel 1981, e prestò ascolto a Milton Friedman, la deregulation fece innumerevoli proseliti a Washington. Nei 12 anni che seguirono, fino alla sconfitta di George Bush nel novembre del 1992, Washington voltò le spalle ad una ben dosata politica di supervisione e regolamentazione governativa di attività particolarmente importanti come quella delle compagnie aree e degli autotrasporti, per non parlare dell'economia in generale. Le leggi che erano state escogitate negli anni della Grande Depressione per proteggere la proprietà di piccoli risparmiatori e azionisti furono abrogate o ignorate negli anni Ottanta per fare spazio alla "legge del Far West" che prevede la sopravvivenza del più cattivo. Negli anni ruggenti della deregulation la filosofia negli USA era "tutto è ammesso, dillo con i soldi". Così al crimine organizzato fu permesso di reinvestire i proventi illeciti nei regolari flussi finanziari, per poterli così usare nelle scalate speculative a Wall Street condotte da gente come Mike Milken, Ivan Boesky ed altri. Grazie al proliferare delle "obbligazioni spazzatura", o altre tecniche speculative, si potevano acquisire imprese sane i cui nuovi proprietari trascuravano la politica di sviluppo a lungo termine su cui cresceva l'impresa, cercando solo di realizzare profitti a breve termine. Fu così che la TWA Airlines finì in mano a Carl Icahn, uno speculatore della banca Drexel. In questi anni Ottanta, i principali istituti finanziari di Londra e New York, come la S.G. Warburg, la Barclays, la Midland Bank, la Citicorp, la Chase Manhattan, la Goldman Sachs, la Merrill Lynch, la Salomon Bros., lanciarono la "globalizzazione dei mercati finanziari". Il presupposto di partenza era che se tutti i paesi avessero abolito i controlli sui flussi di capitali ed altri meccanismi, la nuova finanza anglo-americana avrebbe potuto accedere a nuovi, grandi spazi economici, altamente profittevoli. I grandi nomi della finanza erano alla caccia di nuovi organismi sani su cui esercitare la propria distruttiva opera parassitaria, e così sedussero molti ambienti bancari, sia europei che giapponesi, a rinunciare alla naturale diffidenza per unirsi al gioco speculativo anglo-americano e "vincere". Uno dei sofismi utilizzati a questo proposito era quello che descriveva il sistema finanziario del paese preso di mira come "superato", "obsoleto", "non abbastanza dinamico"; insomma, da riformare per promuovere la nuova ondata di finanza creativa. Così l'intera Europa fu accusata di soffrire di "Eurosclerosi". Tutti i trucchi sono buoni per costringere le economie nazionali a sollevare le barriere protettive e permettere alla finanza anglo-americana di dilagare su ciò che essa definiva mercati "arretrati" o "provinciali" e sfruttare la maggiore scaltrezza finanziaria per saccheggiarli. La grande speculazione e la finanza angloamericana Il vero e proprio inizio di questa dissennata corsa alla deregulation e alla "globalizzazione" dei mercati finanziari in stile thatcheriano, a cui assistiamo attualmente in Italia, risale alla fine degli anni '60, inizio anni '70. A partire da quel periodo, le grandi banche internazionali americane, come la Chase Manhattan e la Citicorp, iniziarono a cercare nuovi impieghi del capitale che fruttassero alti profitti, in quanto gli investimenti nell'economia interna americana non erano così profittevoli come quelli all'estero. Nel 1971, decine di miliardi di dollari avevano già abbandonato gli Stati Uniti ed erano approdati in Europa. L'astuto Sir Siegmund Warburg, presidente della omonima e celebre banca britannica (la stessa a cui il ministro del Tesoro Barucci si è recentemente rivolto per stimare il valore immobiliare dell'IMI), si recò allora a Washington per convincere il Tesoro e il Dipartimento di Stato USA a far rimanere all'estero quei capitali, in modo che Londra potesse usarli per ripristinare il ruolo di "banchiere mondiale" che la City aveva svolto fino al 1914. È ironico che il primo prestito in "Eurobbligazioni" sottoscritto da Siegmund Warburg fosse quello di 15 milioni di dollari lanciato dalla Società Autostrade dell'IRI. La vera trovata di Warburg fu però l'uso dei dollari espatriati in Europa, i cosiddetti "Eurodollari", che si rivelarono l'innovazione finanziaria più destabilizzante degli anni settanta. Il Presidente Nixon, seguendo il consiglio di George Shultz e Paul Volcker, annunciò il 15 agosto 1971 che da quel momento in poi Washington e la Federal Reserve, la banca centrale USA, si sarebbero rifiutate di riscattare in oro i dollari posseduti dalle altre banche centrali. Washington stracciò, con atto unilaterale, gli accordi di Bretton Woods del 1944 che stabilivano l'ordine monetario postbellico. Di colpo, il mondo si ritrovò ostaggio di un regime di "tassi di cambio fluttuanti" che trasformò il sistema monetario basato sul dollaro in una gigantesca arena speculativa. Nel maggio 1973, sei mesi prima che scoppiasse la "crisi petrolifera", l'oligarchia politico-finanziaria angloamericana si riunì segretamente nella località svedese di Saltsjoebaden per discutere la fase successiva del "ricatto" esercitato per mezzo del dollaro sull'economia mondiale. Tra gli ospiti di quel ristretto gruppo di potenti, riuniti sotto l'egida del Club Bilderberg, c'era il Presidente della FIAT Gianni Agnelli. Si discusse che bisognava persuadere l'OPEC ad aumentare il prezzo del petrolio del 400%. Dato che dal 1945 il petrolio si acquistava solo con dollari, la mossa avrebbe automaticamente quadruplicato la domanda di dollari sul mercato internazionale. Henry Kissinger, un altro ospite della riunione segreta del Bilderberg, battezzò l'idea col nome di "riciclaggio dei petrodollari". I suoi interlocutori, come Lord Richardson della British Petroleum, Robert O. Anderson dell'americana Atlantic Ritchfield Corporation (ARCO) o lo svedese Marcus Wallenberg, non erano interessati a discutere come impedire i catastrofici effetti sull'economia mondiale derivanti da un quadruplicamento del prezzo del petrolio, ma, piuttosto, l'intera discussione in quella sperduta località della Svezia ruotò attorno all'idea di come assicurare che poche, scelte banche americane controllassero la nuova ricchezza dei "petrodollari" in mano araba. Si trattava quindi di come aumentare il potere nelle mani delle banche di Londra e New York, del cartello petrolifero e dei loro amici europei, alle spese del resto del mondo. Negli anni '80, dopo due crisi petrolifere e l'equivalente shock della stretta creditizia pilotata da Paul Volcker alla guida della Federal Reserve (1979-1982), la deregulation finanziaria di Thatcher e Reagan creò, nel contesto di un valore "fluttuante" del dollaro e del riciclaggio di prestiti in petrodollari che rifinanziavano il deficit dei paesi del Terzo Mondo, la cornice per un nuovo riciclaggio, quello dei narco-dollari. La liberalizzazione delle transazioni finanziarie in Europa e negli Stati Uniti negli ultimi dieci anni è servita infatti ad aprire le porte al riciclaggio dei proventi illeciti della droga, che nel 1990 si stimava in un valore tra i 600 e i 1000 miliardi di dollari. La Lugano connection A questo punto occorre dedicare qualche riga alle finanziarie di Wall Street che svolgono un ruolo decisivo nella "privatizzazione" delle imprese pubbliche italiane. Sono tre le ditte impiegate all'uopo come "consulenti" del governo Amato: Goldman Sachs, Merrill Lynch e Salomon Brothers. Lo stesso ministro dell'Industria Giuseppe Guarino, contrario a una "svendita" del patrimonio industriale raccolto nelle ex Partecipazioni Statali, sembra riporre fiducia in queste tre finanziarie, i cui dirigenti incontrò il 17 settembre scorso nel corso di un viaggio a New York. Sono molti attualmente a ritenere la Goldman Sachs la più potente finanziaria di Wall Street, posizione conquistata almeno a partire dal 1991, quando scoppiarono gli scandali di "insider trading" che la coinvolgevano assieme alla Salomon Brothers. Il presidente della Goldman Sachs, Robert Rubin, sarà il capo del Consiglio per la Sicurezza Nazionale del Presidente Clinton. Quel posto dovrà essere un "ufficio di guerra economica" in stile britannico, per fronteggiare quelli che l'ex capo della CIA William Webster chiamò "gli alleati politici e militari dell'America che sono i suoi rivali economici". Rubin non è il primo dirigente della Goldman Sachs che ricopre una carica nel governo americano. Prima di lui l'attuale vicepresidente, Robert Hormats, fu consigliere di Henry Kissinger al Dipartimento di Stato e un altro "senior partner", John Whitehead, fu sottosegretario di Stato con Ronald Reagan. La Goldman Sachs é uno dei più influenti manipolatori del prezzo del petrolio e del valore delle monete, che determina tramite la sussidiaria J. Aron & CO., che opera sul mercato delle merci e dei "futures". La Goldman Sachs ha rafforzato la sua presenza in Italia aprendo nel 1992 un "ufficio operativo" a Milano. Più avanti vedremo il ruolo cruciale che essa ha svolto nella crisi della lira e nella partita delle privatizzazioni. La Salomon Brothers domina, assieme alla Goldman Sachs, il commercio di greggio mondiale. La Salomon possiede anche la svizzera Phibro (Philipp Brothers), che opera nel settore delle materie prime. Nel 1989 la Phibro fu coinvolta in un caso di riciclaggio di milioni di dollari ricavati dalla vendita di cocaina negli Stati Uniti. I soldi venivano riciclati dalla banda chiamata "La Mina", che lavorava per il cartello della coca colombiano, nella Phibro Precious Metal Certificates. Dopo gli scandali di "insider trading" e speculazione su Buoni del Tesoro USA scoppiati nel 1991, a cui abbiamo accennato sopra, ci fu un completo rinnovo dei vertici della finanziaria. Il nuovo presidente, attuale azionista di maggioranza, è Warren Buffett, originario di Omaha, Nebraska. Buffett, oltre ad essere amico intimo di George Bush, è anche il principale azionista del Washington Post e della rete televisiva ABC. Egli possiede vasti interessi anche nell'American Express (del cui consiglio di amministrazione fa parte Henry Kissinger) e nella Wells Fargo Bank. Lo stesso Buffett si dice sia implicato in uno scandalo di pedofili del Nebraska che facevano capo, fino alla fine degli anni '80, al finanziere repubblicano Larry King, della banca Franklin Credit Union. Buffett era il patrocinatore e il sostenitore di King. La Warren Buffett Foundation, la fondazione intestata a suo nome, finanzia cause antidemografiche, come quelle lanciate da organizzazioni americane come Negative Population Growth, Planned Parenthood, l'Associazione per la Sterilizzazione Volontaria e il Population Council. La Merrill Lynch è famosa per il ruolo che svolse in una sensazionale operazione di riciclaggio del denaro tra l'Italia, la costa orientale degli Stati Uniti e Lugano. Si tratta della "Pizza connection", che portò al processo in cui la famiglia mafiosa newyorchese dei Bonanno fu accusata di aver riciclato circa 3,5 miliardi di dollari fino a quando fu arrestata, nel 1984. I Bonanno avevano usato, per i loro traffici, la sede centrale di New York e gli uffici di Lugano della Merrill Lynch. L'aspetto più sconcertante del processo sulla “Pizza connection” in Svizzera e a New York è che essi ignorarono completamente la complicità dei vertici della Merrill Lynch. All'epoca del processo il ministro del Tesoro americano, responsabile per le ispezioni sul riciclaggio del denaro, era l'ex presidente della Merrill Lynch Donald Reagan. Il processo si concluse con alcune multe nei confronti di funzionari minori della sede luganese della finanziaria americana, e la storia finì lì. Come è noto, la Merrill Lynch é stata incaricata dall'IRI, il 9 ottobre scorso, di preparare la privatizzazione del Credito Italiano. Abbiamo fin qui identificato alcuni fatti poco noti che riguardano le tre finanziarie di Wall Street chiamate a svolgere un ruolo decisivo nella valutazione e nella stessa privatizzazione delle imprese pubbliche italiane. Queste finanziarie accedono a dati di grande importanza e delicatezza che riguardano alcune delle più valide imprese europee e si posizionano in assoluto vantaggio come "consiglieri per la privatizzazione". Naturalmente, tutto secondo una rigida etica professionale e senza conflitti di interesse! Moody's e la guerra della lira Quasi in contemporanea con la nomina del governo Amato, l'agenzia di "rating" newyorchese Moody's annunciò, con la sorpresa di molti, che avrebbe retrocesso l'Italia in serie C dal punto di vista della credibilità finanziaria. Questo, senza che le cifre del debito italiano fossero cambiate drasticamente (la tendenza al deficit era nota almeno da due anni) e senza alcun rischio di insolvenza da parte dello stato. La giustificazione di Moody's fu che il nuovo governo non dava sufficienti garanzie di voler apportare seri tagli al bilancio dello stato. Negli ambienti finanziari internazionali, Moody's è famosa perché usa come arma "politica" la sua valutazione di rischio, tale che beneficia interessi angloamericani a svantaggio di banche rivali o, come nel caso dell'Italia, di intere nazioni. Il presidente della Moody's, John Bohn, ha ricoperto un'alta carica nel ministero del Tesoro USA sotto George Bush. La mossa di Moody's costrinse il governo Amato ad alzare i tassi d'interesse sui BOT per non perdere gli investitori. Essa segnalò anche l'inizio di una guerra finanziaria contro la lira. Secondo fonti ben informate, i più aggressivi speculatori contro la lira, nell'attacco del luglio scorso, furono la Goldman Sachs e la S.G. Warburg di Londra. Ribadiamo che la speculazione ebbe un movente principalmente politico, non finanziario, e che, purtroppo, ebbe successo. L'Italia fu costretta ad abbandonare lo SME e il governo varò un piano di tagli e annunciate privatizzazioni per ridurre il deficit. Ciò che Amato non ha mai detto è che la svalutazione della lira nei confronti del dollaro ha dato agli avventurieri della Goldman Sachs e delle altre finanziarie di Wall Street un grande "vantaggio". Calcolato in dollari, l'acquisto delle imprese da privatizzare è diventato, per gli acquirenti americani, circa il 30% meno costoso. Lentamente, specialmente dopo l'ultimo attacco speculativo dell'inizio dell'anno, la lira si va assestando sul valore "politico" di circa 1000 lire a marco, esattamente il valore indicato dalla Goldman Sachs nel luglio scorso come “valore reale” della moneta italiana. Come mai questa "coincidenza"? Come mai la finanziaria newyorchese ha appena aperto un ufficio operativo in un paese che secondo i suoi criteri sprofonda nella crisi? Come mai un economista come Romano Prodi, "senior adviser" della Goldman Sachs, suggerisce di privatizzare alla grande, vendendo tutte e tre le banche d'interesse nazionale (Banca Commerciale, Credito italiano, Banca di Roma), più il San Paolo di Torino, il Monte dei Paschi di Siena e l'Ina (Convegno presso l'Assolombarda il 30 settembre 1992)? Lo stesso Prodi, che nel passato è stato a capo dell'IRI, oggi sembra aver sposato completamente la causa neoliberista angloamericana, tanto da aver proposto, a metà novembre, che l'Europa applichi verso i paesi dell'est una politica simile a quella dell'accordo di libero scambio siglato tra Stati Uniti, Messico e Canada (NAFTA). Un tale trattato darebbe il via libera alle grandi imprese per trasferire le loro attività all'est, dove la forza lavoro costa meno (è quanto è avvenuto ai confini tra Stati Uniti e Messico). Ciò aggraverebbe la crisi all'ovest e condurrebbe, nel medio-lungo termine, ad un abbassamento della produttività anche all'est, dato che la manodopera sottopagata è anche meno qualificata. Il governo italiano deve scartare una simile politica, così come deve abbandonare il circolo vizioso dei tassi d'interesse alti che, per difendere la moneta, alimentano lo stesso deficit che si dichiara di voler combattere. Tra il giugno e il settembre scorso, i tassi sono aumentati paurosamente, da circa l'11% al 20% prima che la lira abbandonasse lo SME. Tuttora la Banca d'Italia mantiene il tasso d'interesse al 13%. Tenuto conto che ogni punto di aumento degli interessi si traduce in 15.000 miliardi in più sul debito dello stato a breve termine, il governo italiano è stato messo alle corde dagli speculatori angloamericani (e dai loro complici italiani) aumentando la pressione per privatizzare a prezzi di svendita. Andando avanti su questa strada, l'Italia commetterà un suicidio economico. La sola via d'uscita è l'adozione di una politica creditizia nazionale del tipo che ai tempi di Enrico Mattei si sarebbe considerata ovvia. Occorre ripristinare il controllo sui cambi, congelare una parte del debito con una moratoria di 10-15 anni (salvaguardando naturalmente gli interessi dei piccoli risparmiatori), parallelamente all'avvio di una aggressiva politica di investimenti, favorita da crediti agevolati, nelle infrastrutture moderne, in concerto con i partner europei. Per far ciò, occorre che lo stato si riappropri della piena sovranità monetaria, il che significa che per finanziare gli investimenti esso non debba bussare alla porta della Banca d'Italia, la quale ha finora, incostituzionalmente, battuto moneta a nome dello stato per poi rivendergliela a tassi "di mercato", cioè da usura. I motivi che hanno portato al "divorzio" tra il Tesoro e la Banca d'Italia, e cioè l'improduttivo finanziamento del debito, esistono, ma combattere il malgoverno non significa eliminare il governo. Perciò occorre porre fine al "divorzio" tra Bankitalia e Tesoro. Una efficace repressione dell'attività di riciclaggio del denaro da parte della mafia, compreso quello investito nei BOT, accompagnata da un astuto cambio della moneta (la famosa “lira pesante”), darebbe alle istituzioni dello stato una posizione di forza e la credibilità e la fiducia popolare. L'alternativa è il caos e la guerra civile. -------------------------------------------------------------------------------- 28 giugno 1993 Come difendere l’industria nazionale dalla speculazione e dalle svendite indiscriminate Ampia rappresentanza delle forze politiche italiane alla conferenza del Movimento Solidarietà e dell'Executive Intelligence Review Il Movimento Solidarietà e la Executive Intelligence Review hanno tenuto il 28 giugno 1993 a Milano, presso la sala FAST, una conferenza sul tema dell'economia, affrontando in particolare aspetti come le moderne tecniche di speculazione finanziaria, le privatizzazioni ed i grandi programmi di sviluppo. La caratteristica forse più singolare della conferenza è stata la partecipazione dei rappresentanti di numerose forze politiche, anche disparate o divergenti, animati dal comune interesse di approfondire la conoscenza del pensiero economico dell'economista americano Lyndon LaRouche e di misurarsi con questo. Da qui l'opportunità di dedicare il primo numero del bollettino della nuova associazione alla pubblicazione degli atti del convegno, per mettere a disposizione di un più vasto pubblico le analisi e le documentazioni che gli specialisti dell'EIR William Engdahl e Claudio Celani hanno esposto nelle loro relazioni, come pure gran parte dei numerosi contributi con i quali parlamentari, giornalisti e altri partecipanti hanno arricchito e animato il convegno. "La speculazione selvaggia sui mercati internazionali e la «geopolitica» britannica sono le due facce della stessa medaglia oligarchica", ha affermato nella sua breve introduzione ai lavori il giornalista dell'EIR Paolo Vitali, moderatore della conferenza. Vitali ha sottolineato che le speranze di milioni e milioni di persone, a seguito della caduta dei regimi comunisti del 1989, non sono state tradite dal fatale sprigionarsi di eventi e forze che non subivano più le strettoie della divisione del mondo in rigide sfere d'influenza, come asseriscono certe teorie sociologiche, ma sono state negate da un preciso piano di destabilizzazione "geopolitico", che è partito ancor prima del crollo del muro di Berlino, e dalla incapacità e codardia delle forze politiche ed élite europee di reagire a questa nuova e precisa minaccia. "L'economista e politico americano Lyndon LaRouche, che sconta innocente in un carcere del Minnesota da quasi cinque anni una montatura giudiziaria orchestrata dall'amministrazione Bush" - ha continuato Vitali - "ha tracciato tempo fa il paragone tra le situazione post 1989 con il periodo che precedette la Prima Guerra mondiale. A quel tempo l'oligarchia imperiale britannica sviluppò il concetto della «geopolitica» per far fronte alla minaccia rappresentata dalla potenzialità di sviluppo economico e sociale in tutta l'Europa continentale, l'«Eurasia». Due guerre mondiali, il Trattato di Versailles e l'accordo di Yalta, furono le dirette conseguenze di questa strategia «geopolitica»". "Con l'avvicinarsi del crollo della Cortina di Ferro nel 1989, i circoli oligarchici anglo-americani decisero che bisognava a tutti i costi impedire che la riunificazione tedesca costituisse un trampolino di lancio per una nuova politica di indipendenza, integrazione e sviluppo economico per tutto il continente, ripristinando il progetto de Gaulle di «un'Europa dall'Atlantico agli Urali». Gli attacchi alla Germania come «Quarto Reich», partiti dalle più alte sfere londinesi, e fatti propri dai nazi-comunisti serbi, l'aggressione del Panama, la guerra del Golfo, le atrocità interminabili nell'ex Jugoslavia, la destabilizzazione economica dell'Est europeo con le folli «terapie d'urto» dei liberisti, l'eliminazione fisica di chi proponeva un piano alternativo di sviluppo, come il Presidente della Deutsche Bank Alfred Herrhausen, sono tutti aspetti di questa complessa e articolata strategia di destabilizzazione". "Questa è la stessa trama destabilizzatrice che in Italia, soprattutto con gli eventi dell'ultimo anno, mira a frantumare le fondamenta stesse del nostro essere nazione sovrana indipendente. Guerre e destabilizzazioni, politiche economiche super liberiste, una speculazione selvaggia che ha trasformato i mercati finanziari internazionali in un'unica casa da gioco d'azzardo, sono elementi solidali di una strategia oligarchica, come contiamo di dimostrare, che o è fermata e sconfitta o può farci sprofondare, in un futuro tutt'altro che lontano, in un altro catastrofico conflitto". La piaga della "finanza derivata" e l'economia dell'illusione Discorso di William Engdahl, esperto economico dell'EIR di Wiesbaden, autore di «A Century of War», un libro che descrive il ruolo del petrolio come un'arma fondamentale nella politica anglo-americana dei Nuovo Ordine Mondiale. L'Italia è vittima di una destabilizzazione sistematica ad opera di forze coordinate interne ed estere. La componente solitamente meno compresa è quella estera, rappresentata da un cartello di speculatori stranieri impegnati a distruggere il paese con denaro preso a prestito. Nel 1948 l'Italia era considerata di importanza strategica nella NATO per arginare il diffondersi del comunismo in Europa, in particolare nei Balcani e nel Mediterraneo. In questo contesto di strategia geopolitica una crescita economica del Paese era ritenuta una componente essenziale. Un discorso differente è invece quello che riguarda l' indipendenza dell'Italia. Howard K. Smith, un "insider" americano, parlò apertamente della spartizione del bottino della seconda guerra mondiale nel 1949 affermando: "Fino al 1946 le potenze vittoriose si sono disputate gran parte del vuoto lasciato da Hitler (...) l'Italia, occupata dalle potenze occidentali, sarebbe diventata un'area in cui avrebbe predominato l' influenza britannica". Questo predominio fu rappresentato principalmente dall'influenza che la Mediobanca avrebbe assunto sotto Enrico Cuccia. La Mediobanca fu posta sotto il controllo di fatto della Lazard Freres di Londra, una banca che è proprietà di un raggruppamento estremamente influente dell'establishment britannico, il Pearson Group PLC. Il Pearson Group controlla anche la rivista «Economist» ed il quotidiano «Financial Times», che si sono recentemente distinti nella campagna di attacchi alle istituzioni economiche e politiche italiane. Dal 1989 però, e dalla fine del regime comunista di Mosca, l'establishment anglo-americano si è reso conto del fatto che un'Italia economicamente stabile e collegata ad un'Europa continentale che si rafforza attorno ad una Germania riunificata e pro- spera non serviva più agli scopi di un'egemonia globale atlanticista, anzi, rappresentava una minaccia. La crisi finanziaria in cui sia l'America che l'Inghilterra versavano nel 1989 si avvicinava alle dimensioni della Grande Depressione degli anni Trenta. Per far fronte all'erosione della propria egemonia gli anglo-americani adottarono ulna dottrina tanto semplice quanto folle: cercare in ogni modo di distruggere la stabilità dell'Europa continentale per impedire che essa potesse fungere da polo antagonista all'egemonia globale anglosassone. Questo è il contesto in cui si colloca tutto ciò che viene fatto contro l'Italia ed il resto dell'Europa. George Soros e la finanza derivata Il crac della borsa di Wall Street, nell'ottobre del 1987, coincise con il lancio di una strategia radicalmente nuova da parte delle grandi finanziarie, quali la Salomon Brothers, Merrill Lynch, Morgan Stanley e di grandi banche americane quali la Citicorp, Bankers' Trust, J.P. Morgan & Co. Il crollo record di 508 punti dell'Indice Dow Jones, verificatosi il 19 ottobre 1987, fu causato da un'incredibile innovazione introdotta nelle transazioni finanziarie. Le grandi finanziarie acquistavano contratti a termine, i "futures", non di ditte specifiche, ma su interi indici delle azioni borsistiche. Le finanziarie di Wall Street ricorsero ad un trucco, acquistando le "futures" ad un costo inferiore del 10% rispetto alle azioni stesse, ed influenzando così un rialzo del prezzo delle azioni sul mercato di New York. Ma poteva funzionare anche nel- la direzione opposta. Questo portò alla bolla speculativa che esplose il 19 ottobre, con l'effetto acceleratore dei sistemi computerizzati. I computer di Wall Street erano stati preprogrammati in modo da vendere automaticamente al verificarsi di una caduta dei mercati. Fu un gioco che spinse i mercati finanziari verso una paralisi irreversibile, ma a quella paralisi non ci si arrivò solo grazie al precipitoso intervento stabilizzatore da parte delle Banche Centrali. Proprio qui stava il trucco escogitato a Wall Street: avevano inventato un sistema di gioco d' azzardo in cui non si rischia di perdere! Molto meno rischioso della gestione di un casinò a Las Vegas. Il gruppo di Wall Street cominciò allora a sperimentare quest'arma terribile sulla borsa di Tokio. Nel novembre del 1989 l'Indice Nikkei Dow toccava i record storici di 39 mila Yen. Ma all'inizio dell'estate successiva quel valore era già dimezzato. A scatenare il tracollo furono le stesse case americane: Salomon Bros. Morgan Stanley, Merrill Lynch, Bankers Trust, Goldman Sachs, con un nuovo apporto dei brokers londinesi. Una conseguenza delle operazioni per approfittare del drastico ribasso della borsa di Tokio (le cosiddette "put options" o "short-selling") fu il ritiro pressoché completo degli investimenti giapponesi nel resto del mondo, mentre le banche del Sol Levante versavano nella crisi peggiore del dopoguerra. Nel frattempo Washington e Londra esercitavano notevoli pressioni sulle altre capitali del Gruppo dei Sette perché favorissero la "liberalizzazione" dei mercati finanziari e la partecipazione al "gioco globale". All'Uruguay Round dei negoziati GATT per la prima volta si discusse il libero scambio dei servizi finanziari. Parallelamente alla "globalizzazione" dei mercati finanziari mondiali si verificò senza chiasso uno sviluppo estremamente importante. Il direttore della Central Intelligence Agency William Webster decise di istituire una nuova sezione della CIA, il Directorate V. Annunciando la decisione a Los Angeles, Webster sottolineò l' importanza della tendenza alla "globalizzazione dei mercati finanziari internazionali" come un'area d'interesse per la nuova CIA. Finita l'era della guerra fredda, Webster vedeva una nuova missione per la CIA nello spionaggio contro "gli alleati politici e militari dell'America che al tempo stesso sono nostri concorrenti economici". Dopo cinque anni di collaudi e affinamenti condotti a Tokio ed a Wall Street le tecniche innovative di Wall Street venivano sottoposte alla prova più ambiziosa: far crollare le valute nazionali, ad onta delle più autorevoli autorità bancarie centrali, mettendo i governi con le spalle al muro. A Wall Street furono introdotti nuovi strumenti finanziari che non avevano alcun collegamento concreto con il flusso reale di scambi commerciali e di investimenti. A questi strumenti fu dato il nome di "derivatives", o finanza derivata. A Wall Street svilupparono le operazioni nel regno dei tutto astratto dei contratti finanziari a termine, che poi furono estese anche alle valute; si stabilì così un mercato di "futures" tra vari paesi e non solo nell'ambito di una sola borsa. Si scommette sul prezzo futuro di una valuta rispetto ad un'altra, ad esempio il marco rispetto al dollaro, oppure sul valore di un titolo di stato di un paese rispetto a quello di un altro, ad esempio entro una scadenza di 90 giorni. Si tenga ben presente però che l'oggetto della compravendita non è un Buono del Tesoro italiano e un qualsiasi altro corrispettivo straniero, ma si scommette, così come si fa alle corse, sul loro valore entro una data scadenza. Le grandi finanziarie di Londra e di Wall Street si attrezzarono con i sistemi di Contrattazione computerizzata che collegarono con le principali piazze finanziarie internazionali realizzando così la globalizzazione finanziaria di cui parlava Webster. I nuovi contratti furono chiamati "derivati" in quanto il loro prezzo deriva da un titolo azionario o finanziario reale, o da una merce, ma non esiste un collegamento con la sua diretta proprietà. A Chicago, ad esempio, iniziarono la contrattazione di contratti a termine dell'indice del Nikkei Dow di Tokio, e lo stesso fecero da re. A Tokio non svolgevano contrattazioni simili e non ne capivano l'importanza. Gli sforzi del ministero delle Finanze nipponico per ottenere la cooperazione di Singapore a sospendere tali scambi fallirono in blocco. Gli organi d'informazione statunitensi e britannici criticarono quell'iniziativa giapponese come "passata di moda". La Moody's crea l'ambiente controllato Nei giorni successivi al "no" danese nel referendum del 2 giugno 1992 sul Trattato di Maastricht gli "insider" di Wall Street prepararono il grande attacco. Nel luglio 1992 gli operatori più importanti furono messi al corrente del fatto che "entro la fine dell'anno ciascuna moneta dello SME in Europa avrebbe cominciato a fluttuare liberamente". I manager delle finanziarie decisero pertanto di sbarazzarsi dei titoli e delle valute europee. Tra i candidati più ovvi per tale svendita spiccavano l'Italia, come pure l'Inghilterra. Ciò di per sé però non bastava. Il rischio era troppo alto e bisognava andare invece sul sicuro, perché sullo SME vegliava uno schieramento di alcune tra le più potenti banche centrali del mondo, a partire dalla Bundesbank, legate da un patto di reciproca difesa. A questo punto si ricorse ai servigi della Moody's Investor Service, una ditta che stabilisce il "rating" a Wall Street, stabilisce cioè il grado di affidabilità dei titoli. Anni addietro l'Italia aprì le porte agli investimenti stranieri, e vi fu costretta per finanziare il deficit, dando anche agli stranieri l'opportunità di acquistare Buoni dei Tesoro. Bastava allora convincere questi investitori stranieri che il debito statale italiano valesse poco più di quello di un paese come la Bolivia, ed essi si sarebbero precipitati a liquidare quei titoli, costringendo così la Banca d'Italia ad offrire tassi di interesse sostanzialmente più alti per i nuovi Bot. Questo è il compito che la Moody's ha assolto a partire dal giugno dello scorso anno. Iniziò annunciando di aver posto il debito italiano nella lista del "credit watch", cioè sotto osservazione per una probabile retrocessione, benché non si stesse verificando alcuna crisi di solvibilità. Poi ci fu la serie di retrocessioni del debito italiano decretate dalla Moody's seguite ogni volta da un rialzo dei tassi di interesse che il Tesoro era costretto ad offrire agli acquirenti dei suoi titoli. Ogni aumento dell'l% del tasso d'interesse sul vasto debito pubblico italiano significa un aumento medio del deficit governativo di circa 17 mila miliardi di lire, che in pochi minuti brucia i disperati tagli effettuati sulla spesa pubblica. Le nuove emissioni a tassi maggiorati erano interpretati dalla Moody's come un nuovo segnale di "inaffidabilità", e giù un altro votaccio sulla pagella dell'Italia. Si tratta evidentemente di un circolo vizioso deliberatamene messo in moto dalla Moody's che culminò nel settembre scorso! Ma cos'è questa Moody's, questo ente privato che ha finito col decidere il destino di nazioni e governi sovrani? Chi gli conferisce tanta autorità? Perché ad esempio non ha dato pollice verso anche agli Stati Uniti, visto che il debito pubblico di quel paese ha superato i 4 mila miliardi di dollari? Nel mondo finanziario la Moody's è famosa come "la più politica" agenzia di "rating". È presieduta da John Bohn, che nell'amministrazione di Bush era un funzionario ad alto livello del Tesoro. Mentre votava una retrocessione dopo l'altra dell'Italia l'estate scorsa la Moody's dava un rapporto molto positivo sulle grandi banche, come la Citicorp, che avevano esteso prestiti all'impero immobiliare canadese Olimpia & York di Paul Reichmann finito in una bancarotta clamorosa. I Reichmann erano legati politicamente ad Henry Kissinger, a lord Carrington ed all'oggi famoso George Soros. La Moody's e premurosa con gli amici. La cosa è persino più palese. Proprietaria della Moody's è la Dun & Bradstreet Inc. che è anche proprietaria del Wall Street Journal. Nel consiglio d'amministrazione della Dun & Bradstreet figurano i principali direttori delle più importanti finanziarie di Wall Street che hanno condotto la speculazione contro la lira, e che sono anche quelle che al tempo stesso "prestavano consulenze" al governo italiano su come condurre il delicato processo di privatizzazione delle imprese di stato. II conflitto d'interessi è ovvio. Nel consiglio d'amministrazione della M.J. Evans, strettamente legata alla Moody's, figura un personaggio che al tempo stesso è nel consiglio di amministrazione della Morgan Stanley ed un altro ancora, R.A. Hansen, figura nella direzione della ,J.P. Morgan e della Merrill Lynch! Un altro ancora è Charles Raikes, che è stato consigliere della Federal Reserve dal 1958. George Leung, amministratore delegato della Moody's Investors Service, dichiarava su Financial World del 18 febbraio: "La gente è sempre più disillusa nei confronti del governi, sempre più preoccupata degli imbrogli e problemi che vede nei governi e finisce col cercare qualcuno che possa indipendentemente far luce su tanta confusione. Questo è il nostro ruolo". Questa dichiarazione d'intenti è anteriore alla campagna della Moody's contro l'Italia. Chi ha affidato alla Moody's il potere di decidere sulle nazioni? Nessuno. Moody's ha colmato il vuoto creatosi con la paralisi dei governi, costringendo ad accettare i propri diktat con la minaccia di voti sfavorevoli sul debito. La Moody's però ha solo preparato il terreno. L'attacco alla lira è stato sferrato dalla speculazione della finanza derivata, diretta a colpire il "fianco debole" dello SME. George Soros ed i suoi amici Con l'avvicinarsi in Francia della scadenza referendaria su Maastricht del 19 settembre,un raggruppamento di banche e speculatori di Wall Street, diretto da George Soros, uno strano personaggio di origine ungherese, lanciò una formidabile ondata speculativa per costringere la lira a svalutare ed uscire di conseguenza dallo SME. Ecco come funzionò. La finanza derivata, teniamolo presente, consiste in scambi in cui non si cedono o acquistano azioni o titoli reali, ma che rappresentano solo un accordo tra le due parti a compiere pagamenti ad una futura scadenza in rapporto al rendimento di una merce o una valuta. L'esempio tipico è dato da una banca che compie un'operazione commerciale "derivata" mettendo a disposizione soltanto il 10% dei valore nominale del contratto, cioè il deposito di garanzia. Grazie ai collegamenti personali con banche come la Citicorp di New York, George Soros è stato capace di far crollare la lira e la sterlina, come pure la corona svedese, il tutto soltanto con denaro preso a prestito, senza versare più del 5% per il margine di garanzia collaterale! In sostanza Soros ha dato come garanzia soltanto 50 milioni di dollari di titoli per ottenere una linea di credito, dalla Citicorp ed altre banche, di un miliardo di dollari. Un prestito a tempi brevissimi, per scommettere sulla svalutazione forzata della lira nei giorni in cui in Francia si teneva il referendum! Il rapporto speculativo del suo denaro è stato di 20:1. Dal canto loro la Bundesbank, la Banca d'Italia e le altre banche per difendere la propria valuta hanno invece dovuto sborsare il prezzo completo degli acquisti. Si stima che la Bundesbank abbia speso a settembre 60 miliardi di dollari nelle varie operazioni di difesa delle monete dello SME. Utilizzando i "derivatives", Soros e Wall Street hanno potuto spuntarla sulla Bundesbank con soli 3 milioni di dollari (20:1) ! In una tipica operazione di swap con i "derivatives" condotta da Soros lo scorso autunno si sono acquistate lire con i dollari, le lire sono poi state convertite in marchi tedeschi al tasso fisso di cambio dello SME. Poi è stata la volta della Moody's a declassare l'Italia, mentre gli organi di informazione internazionali si davano da fare a descrivere la gravità della crisi economica e politica del paese. Le corporation hanno avuto paura ed hanno cominciato a vendere lire. La valuta italiana è così passata da 765 lire contro il marco all'inizio di settembre alle 980 lire solo quattro settimane più tardi. A quel punto Soros poteva acquistare lire fortemente scontate (il 28% in meno) e ripagare il suo debito iniziale, prima che scadesse la data del suo contratto, per il quale aveva inizialmente versato solo il 5%. II profitto che ne ha ricavato si calcola sul 560%, cioè circa 280 milioni di dollari. Ma nessuna autorità di vigilanza sarebbe potuta intervenire perché l'operazione è stata condotta "fuori registro", o come si suoi dire "Over-the-Counter", direttamente tra le due parti interessate senza altre formalità. Naturalmente, se la lira si fosse rivalutata del 5% l'impero di Soros sarebbe stato spazzato via all'istante. Soros però non è soltanto un giocatore d'azzardo "fortunato". Intendo infatti spiegare che Soros è riuscito a condurre le sue recenti operazioni speculative in grande stile perché ha accesso alle informazioni più riservate dei centri di potere. Nel caso della crisi dello SME, come poteva sapere Soros quale delle 12 valute sarebbe stata colpita in quale giorno preciso? Ex funzionari della Federal Reserve USA spiegano privatamente che Soros ha ricevuto informazioni riservate da parte di un amico che nella Federal Resene di New York lavora nel settore delle valute internazionali. La Fed di New York dispone, minuto per minuto, delle informazioni sull'andamento delle monete direttamente dalle banche centrali europee. Se Soros può disporre di tali informazioni il suo gioco è garantito. Ma chi c'è dietro questo personaggio misterioso? Soros opera attraverso la Quantum Fund NV, una compagnia off-shore registrata nelle Antille Olandesi. Opera insieme ad un raggruppamento internazionale che potrebbe essere chiamato il gruppo dei Rothschild. Nel consiglio di amministrazione della Quantum Fund figura Nils Taube, socio d'affari di lord Rothschild, e sir James Goldsmith, imparentato ai Rothschild. Altro membro del Quantum è Richard Katz che a Milano dirige la Rothschild Italia, S.p.A. Altri esponenti del Quantum sono Isidore Albertini della ditta di brocheraggio milanese Albertini & Co.; Alberto Foglia, capo della Banca del Ceresio di Lugano; e Edgar Picciotto, un socio di affari di Carlo de Benedetti. Picciotto dirige inoltre la CBITDB Union Bancaire Privée di Ginevra. Si dice poi che al Quantum partecipino segretamente anche Marc Rich, uno svizzero latitante che operava nel settore dei metalli preziosi e del petrolio, ed il mercante di armi israeliano Shaul Eisenberg. Soros inoltre è colui che ha introdotto in Polonia ed in Russia il professore di Harward Jeffrey Sachs, il guru della terapia d'urto che causa il caos economico incontrollabile e profitti astronomici per gruppi ristretti di potere. Degno di nota è il fatto che Marc Rich ed Eisenberg sono stati tra gli investitori più attivi nell'Europa orientale e nel CSI a partire dal 1990. Torniamo alla "Dottrina Webster" della CIA, promulgata nel 1989. All'epoca di Bush Washington era impegnata a sabotare l'unità economica europea. L'estate scorsa il governo USA fece strane dichiarazioni che ebbero l'effetto di scuotere le parità delle monete europee in rapporto al dollaro, come fase preliminare della crisi di settembre. Responsabile di quella operazione fu l'allora viceministro del Tesoro David Mulford, che oggi presiede la Credit Suisse First Boston di Wall Street. Prima di andare a Washington nel 1982 Mulford era uno dei direttori della Merrill Lynch, quando allora era presieduta da Donald Reagan, che andò anche lui a Washington come ministro del Tesoro sotto il Presidente Reagan. Degno di nota è che una delle primissime nomine fatte dal Presidente Clinton riguarda Robert Rubin, presidente della Goldman Sachs, finanziaria più prestigiosa di Wall Street. Oggi Rubin è il Direttore dei nuovo Consiglio di Sicurezza Economica Nazionale della Casa Bianca. Esperti osservatori di Washington ritengono che il nuovo consiglio sia stato creato per coordinare l'applicazione della Dottrina Webster direttamente dalla Casa Bianca. Le alte sfere della CIA, magari attraverso ex funzionari, hanno fatto opera di reclutamento nei consigli di amministrazione delle grandi finanziarie di Wall Street. Ai dirigenti delle finanziarie che accettano, la CIA impartisce un particolare addestramento ed essi tornano poi al loro mondo di Wall Street. Conosco personalmente un banchiere svedese che è stato invitato a Washington il novembre scorso ad un seminario dove l'ex capo della CIA William Colby teneva un discorso sul tema della nuova missione di spionaggio economico dei servizi segreti USA. Colby è personalmente impegnato a reclutare i dirigenti delle grandi finanziarie spiegando loro che adesso i mercati finanziari globali sono considerati un "area di interesse della sicurezza nazionale USA". Il seminario era sponsorizzato dalla Merrill Lynch e dalla Borsa di New York. L'esplosione della finanza derivata "Senza la crescita enorme delle operazioni speculative della finanza derivata la crisi dello SME non si sarebbe mai verificata", ha affermato recentemente un esperto banchiere europeo. Mentre nel 1987 le banche centrali furono in grado di difendere la stabilità dello SME a costi minimi, nel 1992 esse sono state ridotte all'impotenza dai meccanismi della finanza derivata. Invece di svolgere una regolare attività di compravendita nei mercati a termine regolari, come quello di Chicago, dove le banche sono costrette a versare un deposito di garanzia ed a rendere nota quotidianamente la propria esposizione creditizia, i grandi di Wall Street eludono la sorveglianza del governo trattando direttamente, "Over the Counter", tra banca e banca o tra banca e finanziarie straniere. La transazione non figura nel bilancio della banca cosicché gli investitori non possono sapere quanto è il rischio che l'istituto in questione corre di fronte ad un crollo del già enorme mercato dei "derivatives". La classifica dei grandi speculatori in "derivatives" era guidata lo scorso anno dalla Citicorp, che vantava operazioni per circa 1400 miliardi di dollari. Seconda era la Chemical Bank con 1300 miliardi di dollari, terze a pari merito la J.P. Morgan e la Bankers Trust, con mille miliardi di dollari ciascuna. Sono contratti che riguardano azioni, petrolio, obbligazioni come pure gli swap internazionali di valuta e gli swap dei tassi d'interesse. Per quanto riguarda queste ultime due voci, i contratti "derivati" oltre confine hanno già raggiunto l'astronomico ammontare di 4 mila miliardi di dollari. La graduatoria dell'esposizione su questo mercato dei contratti "derivati" continua con la Merrill Lynch, per 720 miliardi di dollari, la Salomon Bros., con 730 miliardi di dollari e la Morgan Stanley con 300 miliardi di dollari. Queste attività hanno aperto tutto un vasto settore di informatica bancaria sofisticatissima, che impiega i supercomputer CRAY per processare i dati in parallelo, necessari per gestire la contrattazione automatica senza frontiere che avviene grazie a programmi capaci di far fronte ai complessi problemi di calcolo del rischio a variabile multipla. Ma, a parte questi aspetti pittoreschi, a fare profitti con la speculazione "derivata" so- no solo gli "insider traders" di New York. Il gioco d'azzardo è truccato, con la complicità di Washington. Cercare di capire gli aspetti "tecnici" della manovra con la quale Soros è riuscito ad intascare un miliardo di dollari di profitti speculando sulla sterlina a settembre è fatica sprecata. Certo è però che giornali finanziari quali il Wall Stret Journal ed il Financial Times fanno il possibile per destare l'impressione opposta. Il che fare Governi e banche centrali dell' Europa continentale hanno sin ora respinto le nuove tecniche speculative della finanza derivata. Alcuni banchieri svizzeri e tedeschi sono convinti che l'offensiva condotta dagli anglo-americani con la finanza derivata sia “più pericolosa di una guerra nucleare con la Russia”. Il 24 novembre, poco dopo la crisi dello SME, il direttore generale della Banca per i Regolamenti Internazionali di Basilea Alexander Lamfalussy ha dichiarato ad un gruppo di banchieri a Londra: "Volete sapere perché molti colleghi delle banche centrali nutrono le mie stesse preoccupazioni che queste attività possano rappresenta- re problemi di natura sistemica nel sistema finanziario internazionale?" Lamfalussy teme il ripetersi del fenomeno verificatosi col crac borsistico del 1987: "l'attività sui mercati derivati potrebbe avere notevoli ripercussioni nei sotto- stanti mercati a pronti, al punto da accentuare proprio quella instabilità dei prezzi contro la quale si pensava di dare un'assicurazione con alcuni strumenti derivati". Lamfalussy ha inoltre spiegato che la grande esposizione negli strumenti fuori bi- lancio da parte delle banche "ha reso più opaca la natura e la distribuzione del rischio nelle operazioni sul mercato finanziario". Ha infine prospettato lo scenario peggiore: "Qualora si verificasse un problema in un istituto le altre ditte reagirebbero immediatamente e drasticamente. Potrebbero ritirare improvvisamente ed indiscriminatamente linee di credito, e persino disimpegnarsi da operazioni in corso. Il tutto aumenterebbe la possibilità del verificarsi improvviso di un blocco globale di liquidità". Anche un personaggio di spicco a Wall Street come Henry Kaufman, che è stato il primo economista della Salomon Brothers, si è detto preoccupato perché la speculazione "derivata" fa intravedere "una prossima catastrofe colossale perle banche americane". Altri così bollano queste novità nel sistema finanziario: "ventiseienni con il computer stanno costruendo la bomba all'idrogeno finanziaria." Tuttavia non fanno nulla per controllare la situazione. La primavera scorsa Lamberto Dini condusse uno studio per il Fondo Monetario Internazionale, ma il suo rapporto è stato praticamente censurato, la stampa non ha ottenuto delle copie. Ad una mia domanda nel corso di una conferenza a febbraio, Lamberto Dini ha risposto: "Le banche americane e londinesi svolgono il grosso delle attività in questo processo. Dobbiamo determinare innanzitutto cosa stia effettivamente accadendo. Alcuni segni di resistenza Più recentemente il Presidente della Commissione Finanza e Banche del Congresso USA, l'on. Henry Gonzalez, ha richiesto alla Federal Reserve ed alla Commissione "Securities & Exchange" del governo di condurre un'indagine approfondita sulle attività all'estero del Quantum Fund di George Soros. Gonzalez ha chiesto di sapere come Soros possa fare profitti astronomici come quelli di settembre, quanto del suo capitale provenga dalle banche americane, in che misure le banche USA siano coinvolte nelle speculazioni di quel fondo, ed il ruolo specifico degli strumenti finanziari derivati nelle grandi manovre speculative di Soros. Questa è solo la superficie dei fatti. Dietro le quinte infuria uno scontro tra le autorità bancarie europee e quelle americane. Le autorità d'oltre oceano sono radicali, ritengono che le banche statunitensi abbiano il diritto di non imporre alcuna restrizione alla finanza derivata. Ritengono infatti che questo sia il modo migliore di allentare la pressione sulle grandi banche USA, che disporrebbero in questo modo di maggiori capitali. Praticamente permettono che venga assicurato solo il margine netto di rischio, e non tutto il contratto. Le autorità di vigilanza europee non permettono una cosa del genere. Ritengono che sia dovere della banca assumersi al completo il rischio di un'insolvenza su tutto il valore nominale di un contratto. Lo scorso ottobre il Congresso degli USA approvò la Futures Trading Practives Act of 1992, una legge che prevede che gli swap Over the Counter, cioè i contratti a pronti e termine di valuta o sui tassi di interesse che avvengono tra le due parti senza essere registrati, non rientrino più nella categoria dei "futures", dei contratti a termine, dando vita in tal modo ad una proliferazione cancerosa di carta finanziaria fuori dal controllo di qualsiasi autorità. L'economista americano Lyndon LaRouche ha recentemente lanciato la proposta di imporre una tassa globale e ben coordinata su queste attività speculative, perché tassarle sarebbe il modo migliore di renderle meno attraenti per gli speculatori e quindi sgonfiare la pericolosa bolla. LaRouche ha proposto una tassa dello 0,1 % sul valore nominale, non sul valore "netto", di ciascuna transazione derivativa. "Questa è la bolla di John Law (nella Francia del 18mo secolo) all'ennesima potenza. La vulnerabilità di tutto il sistema finanziario, il caos e la distruzione delle strutture di produzione fisica sono potenzialmente incalcolabili, pertanto occorre mettere sotto controllo il fenomeno". La settimana scorsa intanto George Soros ha fatto sapere che tornerà alla carica. Questa volta è deciso a spezzare uno degli elementi portanti della coesione europea: il suo nuovo obiettivo è quello di spezzare il legame che unisce il marco tedesco al franco francese. I protagonisti della destabilizzazione italiana Discorso di Claudio Celani, italian desk dell'EIR di Wiesbaden. All'inizio dei gennaio scorso, l'EIR pubblicò un documento intitolato "La strategia anglo-americana dietro le privatizzazioni italiane: il saccheggio di un'economia nazionale". In quello studio, inviato ad alcuni organi di stampa, alle forze politiche ed alle istituzioni, si delineava un quadro preoccupante di attacco all'economia italiana nel contesto della cosiddetta "globalizzazione dei mercati", cioè la realizzazione di un unico sistema economico mondiale in cui non vi sarebbe stato più alcun controllo sui movimenti e sulla creazione di capitali. In quel documento si riferiva un episodio passato inosservato, e che invece rivestiva una grandissima importanza. II 2 giugno 1992, a pochi giorni dalla morte del giudice Falcone, si svolgeva una riunione semisegreta tra i principali esponenti della City, il mondo finanziario londinese, ed i manager pubblici italiani, rappresentanti del governo di allora e personaggi che poi sarebbero diventati ministri nel governo Amato. Oggetto di discussione: le privatizzazioni. La cosa più grave è che questa riunione si svolse sul panfilo Britannia, di proprietà della regina Elisabetta II, la quale fu presente ai colloqui. Il Britannia, dopo aver imbarcato gli ospiti italiani a Civitavecchia, prese il largo ed uscì dalle acque territoriali. Avvenne dunque che i potenziali venditori delle aziende da privatizzare (governo e manager pubblici) discussero di ciò con i potenziali acquirenti, i banchieri londinesi, a casa di questi ultimi. Non sappiamo che cosa si siano detti questi signori, sappiamo solo che il direttore del Tesoro Mario Draghi provò tale imbarazzo che chiese di poter leggere il suo discorso quando il panfilo era ancora in porto, per poter scendere subito ed evitare di rimanerci quando questo prese il largo. Sappiamo dell'imbarazzo di Draghi perché un settimanale, L'Italia, riprese l'articolo dell'EIR, citando la fonte, ed un parlamentare missino, Antonio Parlato, che lo lesse, presentò un'interrogazione parlamentare, anzi, poté rivolgere una domanda allo stesso Draghi, che quel giorno riferiva su altre questioni in Commissione Bilancio. In seguito, la notizia fu ripresa da numerosi organi di stampa, anche grazie al fatto che l'ex segretario del PSI Bettino Craxi aveva diffuso il documento dell'EIR alla Camera. Ci furono quindi numerose interrogazioni parlamentari (a Parlato, che ne fece mi sembra tre, si aggiunsero l'on. Tiscar, qui presente, e gli on. Pillitteri e Bottini) e altre sollecitazioni ufficiali (la senatrice Edda Fagni citò questo fatto nel discorso al Senato il giorno del voto di fiducia al governo Ciampi), ma né il governo di allora, guidato da Giuliano Amato, né quello attuale si sono sentiti in obbligo di fornire un chiarimento all'opinione pubblica ed al Parlamento. Insisto su questo fatto perché mi sembra emblematico del modo in cui vengono prese le decisioni che determinano il futuro del nostro paese, cioè di milioni di cittadini che lavorano e pagano le tasse, ed hanno bisogno di avere fiducia in coloro che li rappresentano, che devono compiere scelte riguardanti il loro futuro, il loro posto di lavoro, i loro risparmi, i loro figli ecc. Ebbene, il fatto del Britannia mostra che scelte decisive, come quelle delle privatizzazioni, vengono fatte al di fuori del Parlamento e addirittura in sedi così lesive dell'onore e della dignità nazionale come il panfilo della regina Elisabetta d'Inghilterra! Su quel panfilo, siamo venuti a sapere, c'era anche l'attuale ministro degli Esteri Beniamino Andreatta, un personaggio che, benché non diriga personalmente un dicastero economico, entrò nel governo Amato proprio per accelerare il processo di privatizzazioni e tuttora, ne siamo certi, quando partecipa alle riunioni di gabinetto certamente dirà la sua in materia economica, anche per- ché di politica estera sembra capire ben poco. Ebbene, Andreatta dovrebbe come minimo chiari- re dinanzi al Parlamento che cosa disse e che cosa fece quel giorno sul Britannia e, nel caso emergano elementi compromettenti, dare le di- missioni. Noi siamo sicuri che Andreatta abbia qualcosa da raccontare, anche perché, analizzando il suo comportamento da ministro degli Esteri, si riscontrano evidenti coincidenze. Guarda caso, infatti, l'ospite illustre della regina Elisabetta è anche quello che non appena messo piede alla Farnesina accoglie entusiasticamente la proposta britannica di mandare gli eserciti in Bosnia, a farsi massacrare dalle artiglierie serbe. Andreatta, infatti, noncurante delle dichiarazioni dei nostri capi militari sul fatto che sarà una carneficina (non abbiamo nemmeno le corazze adatte sui nostri carri) afferma con disinvoltura che se è necessario si rivedrà il bilancio, quello stesso bilancio che fino ad un momento prima era una vacca sacra, intoccabile. Preciso: non si tratta di essere contrari ad un intervento militare risolutore.