martedì 26 luglio 2011

LA CASTA DELLA POLITICA CI COSTA IL 2% DEL PIL

LA CASTA DELLA POLITICA CI COSTA IL 2% DEL PIL!!!!!!
Rassegnatevi: le spese per la politica in Italia, stando all’ultimo studio della Uil ricavato da fonti ufficiali del ministero di Renato Brunetta, sono cresciute negli ultimi dieci anni del 40%, arrivando a impiegare come numero di persone che vivono, direttamente o indirettamente, di politica la ragguardevole cifra (ineguagliata in tutti i Paesi europei) di un milione e trecento mila persone. Propaganda sindacale? Nient’affatto: i dati sono ufficiali, forniti per lo più dal ministero della Pubblica Amministrazione.

Cifre da capogiro, dunque. Di fronte alle quali sarebbe da mettersi le mani nei capelli. Perché uno dei temi ricorrenti di questi anni è stato (a parole) il taglio alle spese della politica, tanto che la Casta, il fortunato libro di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo, è diventato subito un best seller. Ma si tratta di un libro uscito nel 2007, con dati degli anni precedenti. E, dunque, che cosa è cambiato in questi anni? Nulla, se non in peggio. Sentite cosa dicono gli esperti della Uil:

La politica ha un peso sulle casse dello Stato di 24,7 miliardi, pari al 2% del Pil e al 12,6% del gettito Irpef. Di questi, i costi diretti e indiretti ammonterebbero a 18,3 miliardi, a cui aggiungere 6,4 miliardi per i costi derivanti da un sovrabbondante sistema istituzionale. Un tesoretto, pari a una corposa manovra finanziaria, che serve a mantenere un esercito formato da almeno un milione e 300mila persone. Di queste oltre 145 mila sono parlamentari, ministri, amministratori locali, di cui 1.032 in Parlamento e a Bruxelles (tra parlamentari nazionali ed europei, ministri e sottosegretari), 1.366 nelle Regioni (presidenti, assessori e consiglieri regionali), 4.258 nelle Province (presidenti, assessori e consiglieri provinciali) e 138.619 nei comuni (sindaci, assessori e consiglieri comunali). Non solo: 12.000 i consiglieri circoscrizionali (8.845 nelle sole città capoluogo); 24.000 le persone nei consigli di amministrazione delle 7 mila società (enti, consorzi, autorità di ambito partecipati dalle pubbliche amministrazioni); 318.000 le persone che hanno un incarico o una consulenza elargita dalla pubblica amministrazione. E ancora: la massa dei porta borse, ovvero il personale di supporto politico addetto agli uffici di gabinetto dei ministri, sottosegretari, presidenti di Regione, Provincia, sindaci, assessori regionali, provinciali e comunali; i direttori generali, amministrativi e sanitari delle Asl; la moltitudine dei componenti dei consigli di amministrazione degli Ater e degli enti pubblici.

Secondo il sindacato, con una riforma delle istituzioni e tagli agli sprechi (come la riduzione, per esempio, del 25% degli assessori, dei consiglieri e soprattutto delle consulenze, spesso sdoppiate per finalità clientelari tra i vari livelli amministrativi) si potrebbe ridurre la spesa - dice la Uil - di almeno 10 miliardi, cifra che equivarrebbe all’azzeramento delle addizionali regionali e comunali Irpef. Ma è difficile che qualcuno metta mano alle forbici nei prossimi mesi: vi ricordate cosa accadde lo scorso anno, quando in agenda c’era un piano per la riduzione del numero delle province? Si parlò solo di quelle sotto i 220 mila abitanti: 10 province in tutto; e poi, addirittura, non se ne fece più nulla. Ecco perché, la campagna della Uil sembra una battaglia contro i mulini a vento.
.by Giovanni Salamone on Tuesday, July 26, 2011 at 2:08am.

LA CASTA DELLA MAGISTRATURA!!!

LA CASTA DELLA MAGISTRATURA!!!!!!
Ci sono giudici che hanno depositato sentenze con anni di ritardo e altri che hanno fatto con l'auto di servizio migliaia di chilometri per andare in vacanza. Ci sono giudici che hanno chiamato i carabinieri per non pagare il conto al ristorante e altri che hanno smarrito pratiche e fascicoli, vanificando anni di processi. Ci sono giudici che hanno dimenticato in carcere imputati che avrebbero dovuto essere scarcerati. Tutti questi giudici sono stati processati dalla sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura (Csm). Molti sono stati assolti perché, ad esempio, non si possono consegnare in ritardo le sentenze ma c'è quasi sempre una scappatoia, un alibi dietro cui trincerarsi: troppo lavoro, il sistema che non funziona, la separazione dalla moglie, la malattia grave di un congiunto. Qualcuno, invece, non è sfuggito alla condanna del "Tribunale" dei colleghi. Sono centinaia i procedimenti disciplinari che si svolgono davanti al Csm: qualcuno, riguardante le esternazioni dei magistrati del Pool, è stato enfatizzato dai media. Ma sono casi rari: della stragrande maggioranza, invece, non si sa nulla. Sono processi che vengono celebrati nel silenzio e nel silenzio si chiudono.
.by Giovanni Salamone on Tuesday, July 26, 2011 at 2:18am.

LA CASTA DEGLI AVVOCATI

LA CASTA DEGLI AVVOCATI!!!!!!
E' un'altra casta: influenti, ricchi, intoccabili. Un libro svela segreti e bugie dell'olimpo professionale italiano. Ne parliamo con l'autore, Franco Stefanoni

"Non voglio un avvocato che mi dica quello che non posso fare. Lo assumo perché mi suggerisca come fare quello che voglio". Lo ha detto John Pierpont Morgan, fondatore della Jp Morgan, una delle più grosse società finanziarie al mondo. La citazione campeggia sulla quarta di copertina del libro, recentemente pubblicato da Melampo Editore, "Il codice del potere" di Franco Stefanoni, giornalista del settimanale economico Il Mondo. Il sottotitolo del volume parla chiaro: Avvocati d'Italia. Storie, segreti e bugie della più influente élite professionale.

Pochi elementi ma sufficienti a capire di cosa stiamo parlando: gli avvocati, i professionisti del diritto. Non l'esercito di oltre 150.000 iscritti all'Ordine che bazzicano le aule di tribunale, più o meno bravi, più o meno affermati. Qui si parla degli avvocati del potere, "una prima scelta di giuristi, consiglieri, difensori, consulenti. Che affianca, corteggia e si fa corteggiare del potere economico, finanziario e politico". Una "casta" parallela, insomma. Che ha potere, notorietà e denaro (molto), ma anche convivenze (o connivenze) pericolose. Un corpo scelto che è molto cambiato negli ultimi 50 anni, i cui membri hanno avuto ascese irresistibili e crolli disastrosi: Ma che nel suo insieme conserva un ruolo strategico nella mappa del potere in Italia.

Vediamo con l'autore quali sono le ragioni e i segreti di questo potere.
.by Giovanni Salamone on Tuesday, July 26, 2011 at 2:23am.

MONARCHIA

QUIRINALE MONARCHICO!!!!!
.Il Presidente della Repubblica partecipa, attivamente e pubblicamente, alla vita del governo. Essendo noto che il ministro della giustizia deve abbandonare il suo posto, avendo accettato un incarico di ben altra natura, è necessario sostituirlo. Il presid...ente del Consiglio ha detto d’essere pronto e di volere fare in fretta, ma Giorgio Napolitano lo ha pubblicamente smentito: quello pronto sono io, mentre al governo mi paiono un po’ indietro. Non si è limitato a questa, originale, affermazione, spingendosi fino a porre degli argini alla scelta spettante a chi guida il governo, pubblicamente preferendo la nomina di chi già non sia ministro. Il tema è delicato, mescolandosi considerazioni istituzionali con problemi politici. La diagnosi non felice: i binari costituzionali sono stati scassati e i vagoni corrono per i fatti loro. I poteri presidenziali, in materia, sono definiti dall’articolo 92 della Costituzione, che stabilisce essere il Presidente a “nominare” i ministri, su proposta del presidente del Consiglio. La storia consegna molti esempi di come tale potere è stato interpretato. Luigi Einaudi, appreso di un documento in cui i gruppi parlamentari democristiani ponevano il veto su un nome, convocò i capi gruppo, li tenne in piedi, lesse loro una nota di durissima critica, affermando che non potevano porsi veti ad un potere presidenziale, e li buttò fuori senza concedere diritto di replica. Antonio Segni aveva un suo preferito, che impose nella formazione di vari governi (si ricordi che egli era anche un capo della potente corrente dorotea). Sandro Pertini informò il capo del governo che era pronto a cacciare due ministri che non davano buon esempio di sé. Oscar Luigi Scalfaro consentì la sfiducia nei confronti di un solo ministro, favorendo la sua sostituzione. Sono molti, e diversi, gli esempi che possono essere citati, ma non solo sono nella gran parte a sostegno del presidente del Consiglio, non era consueto che dal Quirinale si prendesse pubblicamente parte ad una discussione che riguarda la nomina di un ministro. Riservatamente, sì. Pubblicamente, no. Non era semplice ipocrisia, ma riconoscimento di una prerogativa governativa. Nella nostra Costituzione il governo è un potere debole e sotto tutela, mentre il Colle più alto un potere elastico e tendenzialmente espansivo, per giunta accompagnato da una generale genuflessione. Da Pertini in poi, inoltre, non si fa che suonare la grancassa della popolarità presidenziale (urticante la definizione di Indro Montanelli: l’uomo che seppe incarnare al meglio il peggio degli italiani). Salvo il fatto che tutti gli altolocati inquilini, non appena usciti, vengono dimenticati. Popolarità indotta e a veloce decadenza. Si pone anche un problema politico. Dopo la nomina di Saverio Romano a ministro dell’agricoltura (uno dei ministeri soppressi per referendum e poi risorto) il Presidente impose un nuovo dibattito sulla fiducia, come se fosse cambiato il governo. Per fare la guerra in Libia non era necessario sentire le Aule, per far accomodare Romano sì. Si fece il dibattito e la fiducia ci fu. Ora, per il ministro della giustizia, si replica? Stabilito il principio, come si fa a venirvi meno? Ma, del resto, è mai possibile fare un dibattito al mese sulla fiducia? L’unica scappatoia sarebbe mettere in quel posto chi è già ministro. Il tema, lo dico subito, non mi appassiona più di tanto, perché non esattamente al centro dei problemi italiani, ma la contraddizione quirinalizia va segnalata. Anche perché si suggerisce al governo di fare la sostituzione adesso, per poi organizzare successivamente un rimpasto. Praticamente passeremo settimane a parlare solo della fiducia. Il che è vagamente surreale, visto che il governo mi pare cotto da tempo, come da tempo conferma di avere la maggioranza in Parlamento. Ci si dovrebbe occupare d’altro, a cominciare dalla riscrittura delle regole costituzionali. Attività che offrirebbe dignità a forze politiche, di maggioranza come d’opposizione, che mostrano di avere esaurito gran parte della propria vitalità. In quel lavoro costituente non si potrà non tornare anche sui poteri del Quirinale, che, in Repubblica, sono più ampi di quelli che il re aveva (ed altrove ha) nella monarchia costituzionale.
by Giovanni Salamone on Tuesday, July 26, 2011 at 2:46am.

lunedì 18 luglio 2011

LA CASTA HA RADICI LONTANE

FASCINO GATTOPARDESCO!!!!!!!!

Per come si son messe le cose, la giustizia che abbiamo ce la teniamo. E’ e resta la peggiore del mondo civilizzato, ma sembra che tanti le siano affezionati. In meno di due giorni si sono accumulati tanti di quei segnali neg...ativi, che la metà basta per dire che non si va da nessuna parte. ...Dunque, vediamo: Gianfranco Fini ha fatto sapere che sul tema può anche aprirsi una crisi di governo e che, comunque, di leggi con validità retroattiva non se ne deve parlare. Occorre osservare che, in campo penale, tutte le norme a favore degli imputati sono, per definizione retroattive. Dobbiamo il principio al diritto romano (nulla a che vedere né con il saluto né con la vaccinara), talché non credo sia il caso d’innovare per capriccio. Va anche detto, però, che la legge sul “processo breve” (che nome più stolto non le si poteva dare) non regola fattispecie criminali o diritti procedurali, ma vorrebbe stabilire limiti temporali per i processi, quindi: a. non rientra automaticamente fra quelle che valgono anche per il passato e, b. se tale valore venisse affermato, senza prevedere norme transitorie, i processi fuori tempo sarebbero suicidati all’istante. Non vestirei il lutto, visto che sono gli stessi destinati alla prescrizione, quindi a morte naturale, ma l’amore per l’arte suggerisce precisione. Le parole di Fini, insomma, non deponevano nel senso di un sereno clima costruttivo. Subito dopo è intervenuto il Presidente della Repubblica, affermando che è necessario accorciare i tempi della giustizia italiana. Molti hanno letto, in queste parole, un messaggio conciliante, diretto a Silvio Berlusconi. Si tratta di lettori fantasiosi. Napolitano non poteva certo sostenere il contrario, visto che l’Italia è il Paese più condannato dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, proprio per la lentezza, ma sarà bene ricordare che indirizzava il suo messaggio ad un convegno sulla digitalizzazione della giustizia (che è fra le poche cose buone, in materia, realizzate), con riferimento anche a quella civile. Alla lentezza, inoltre, si pone rimedio con gli sveltimenti, non con le amputazioni processuali.Infine è giunta la notizia che l’onorevole Giulia Buongiorno, finiana più volte indicata quale ostacolo alle riforme della giustizia, ed effettivamente collocatasi sul fronte conservativo di non pochi guasti, resta al suo posto di presidente della commissione Giustizia. Si potrebbe sintetizzare il tutto con un titolo: la maggioranza c’è, ma a patto di non considerarsi tale e di non muovere foglia.Nel mentre si toglie qualsiasi fascino al motto gattopardesco, lasciando che tutto resti fermo in modo che nulla si muova, nell’arena politica s’è svolto un numero straordinario, con Beppe Pisanu nei panni del protagonista e i commissari di sinistra nel ruolo di ballerini di fila. “Troppi indegni nelle liste elettorali”, ha tuonato il presidente della commissione antimafia, intimando ai prefetti riottosi di trasmettere i dati mancanti. Bravo, costringiamo i prefetti, hanno cantato i ballerini. Giusto, abbiamo pensato anche noi, oramai prede di un conformismo rincretinente, che è tracimato dalle pagine dei quotidiani. Poi uno ci pensa e si domanda: ma “indegni” secondo chi? Secondo la legge no, perché i condannati interdetti non sono candidabili. Allora secondo chi? Secondo monsignor Pisanu e i suoi chierichetti?Rispondono che si tratta di teppaglia: condannati, imputati, indagati, sospettati. Ci vadano piano. Con appartenenti a tali categorie Pisanu è stato al governo. Erano indegni anche quelli? Fra i condannati ci sono anche quelli che hanno commesso reati consapevolmente e apertamente, per ragioni di battaglia politica. Non possono candidarsi? Imputati, indagati e sospettati, secondo la nostra Costituzione, secondo la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e secondo la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo sono degli innocenti. Se alla commissione antimafia hanno smarrito i testi ne farò personale omaggio. I diritti politici, caro Pisanu e cari commissari in servizio d’indignazione permanente effettiva, non sono negoziabili, né subordinati al vostro giudizio.Voi, forse, volevate dire una cosa diversa, e vi aiuto: la giustizia italiana fa talmente schifo che anche i criminali conclamati restano liberi da condanna e anche gli imputati senza speranza coltivano quella che il processo muoia prima di loro. I partiti li raccattano perché sono perle della decantata società civile. Sarà un linguaggio inadatto al vizio del non dire per lasciarsi intendere, ma ha il pregio della chiarezza. E’ vero, è così. Ma sarebbe far torto agli indignati, sarebbe considerarli ottusi il non sottolineare che, con quell’esibizione fuori tempo e fuor di luogo, hanno dato il loro contributo affinché nulla cambi. E se l’indegnità politica fosse attinente anche all’incapacità di rendersi utili, una volta eletti, mi sa che resterebbe vuota gran parte dell’altra metà della lavagna.

LA CASTA DEI MAGISTRATI!!!!!

VERGOGNA!!!!!!!

LA CASTA DEI MAGISTRATI !
Come la casta dei magistrati distrugge i...l diritto e difende se stessa ?
In nessuna democrazia al mondo è accettato che un cittadino venga imputato di qualche malefatta anche grave , aspetta decenni per avere giustizia e se alla fine si attesta che l'imputazione era infondata non ha diritto a nessuno risarciment...o . Nel frattempo il cittadino ha pagato avvocati , perso giornate a fare la fila nei tribunali , magari è stato additato dalla comunità come un delinquente ( vedi caso una bomber .. ) ha perso il lavoro e nessuno gli chiede nemmeno scusa . E' una norma che non tutela il cittadino , tutela il diritto del magistrato a sbagliare senza pagare - E se avvalendosi di questo diritto volesse colpire qualcuno che gli è poco simpatico ?

LA CASTA DEI MAGISTRATI!!!!!

VERGOGNA!!!!!!!

LA CASTA DEI MAGISTRATI !
Come la casta dei magistrati distrugge i...l diritto e difende se stessa ?
In nessuna democrazia al mondo è accettato che un cittadino venga imputato di qualche malefatta anche grave , aspetta decenni per avere giustizia e se alla fine si attesta che l'imputazione era infondata non ha diritto a nessuno risarciment...o . Nel frattempo il cittadino ha pagato avvocati , perso giornate a fare la fila nei tribunali , magari è stato additato dalla comunità come un delinquente ( vedi caso una bomber .. ) ha perso il lavoro e nessuno gli chiede nemmeno scusa . E' una norma che non tutela il cittadino , tutela il diritto del magistrato a sbagliare senza pagare - E se avvalendosi di questo diritto volesse colpire qualcuno che gli è poco simpatico ?

VERGOGNA!!!!!!

PENSIONATI RIBELLATEVI AI SINDACA...TI, CASTA COMPOSTA DA IPOCRITI E LADRI ! LA CASTA MILIARDARIA DEI NULLAFACENTI !
Ma lo sapete si, o no che, l’Inps trattiene sulla pensione anche la quota che poi da ai sindacati ? I sindacati italiani sono una macchina di potere e di denaro. Temuta perfino dai partiti. Fatturati miliardari. Bilanci s...egreti. Uno sterminato patrimonio immobiliare. E organici colossali, con migliaia di dipendenti pagati dallo Stato. Non continuate a sostenere col vostro contributo economico i sindacati, amici dei padroni, che collaborano col governo nelle sue scelte antipopolari. Dissociarsi è facilissimo: sono sufficienti due righe da inviare all’azienda che opera la trattenuta delle quote sindacali (o, in caso di un pensionato, all’ente che eroga la pensione: ad esempio l’INPS), e per conoscenza al sindacato. Il risultato è che i bilanci dei sindacati, quelli veri, non sono mai usciti dai cassetti dei loro segretari. Il giro d’affari dei sindacati è enorme e questi enti non difendono più nessuno, ma esistono solo per difendere i loro interessi economici. I Sindacati hanno difeso ladri, fannulloni e sono talmente potenti da far fallire una azienda che dà lavoro a tantissime persone. Avete mai sentito di un giudice che da ragione ad un'Azienda ? Io mai. I sindacati sono capaci di organizzare scioperi che bloccano e danneggiano una nazione, causando enormi danni a tutti i cittadini. Il diritto allo sciopero è diventata una grande arma di ricatto in mano a persone senza scrupoli e senza morale.

IL POPOLO E' SOVRANO!!!!!!

IL POTERE DEI PARLAMENTARI ELIMINA LA SOVRANITA' DEL POPOLO!!!!!!!

È sempre stato... un argomento capace di suscitare l'indignazione dei cittadini. Ormai, però, è diventato anche qualcosa d'altro: un vincolo economico, una palla al piede per il Paese, una fonte di spesa improduttiva che sottrae risorse alla crescita. È il tema dei costi della politica. Una parte di questi costi è documentata e documentabile. Gian Antonio Stella, sul Corriere di ieri, ha mostrato quanto pesino sulle tasche del contribuente italiano, fra indennità, rimborsi, eccetera, i parlamentari, i consiglieri regionali e gli altri rappresentanti eletti. E il confronto con gli assai più contenuti stipendi dei rappresentanti statunitensi è risultato davvero istruttivo.

I costi documentati sono peraltro solo la punta dell'iceberg. I dati precisi non sono facilmente reperibili ma è certo che il numero di coloro che in Italia vivono «di politica» (la cui fonte di reddito, cioè, deriva, direttamente o indirettamente, dalla politica) è enormemente cresciuto negli ultimi venti anni: c'è chi pensa che sia addirittura quadruplicato o quintuplicato. Non è affatto solo una questione di auto blu e di stipendi di rappresentanti eletti (che sono le cose che maggiormente colpiscono il cittadino). C'è molto, molto di più. Là fuori c'è un vero e proprio esercito, con famiglie a carico, di quelli che potremmo definire «professionisti politici occulti», persone che campano grazie al fatto che la politica (i partiti) li ha piazzati - a livello nazionale, regionale, locale - in consigli di amministrazione, all'interno di società pubbliche, e ovunque essa potesse allungare le mani. Persone che sono in quei posti, per lo più, non per le loro competenze ma per i loro legami politici.

Scommetto che nemmeno al ministero dell'Economia sono in possesso di dati precisi sui «costi reali» della politica in Italia. Ma è certo che se questi costi potessero essere seriamente ridotti, si darebbe un bel colpo alla spesa pubblica improduttiva, si libererebbero risorse diversamente impiegabili.

Solo che ciò è molto più facile a dirsi che a farsi. Per diverse ragioni, alcune tecniche, altre istituzionali, altre politiche. Fra le ragioni tecniche c'è, prima di tutto, come si è già accennato, il fatto che nessuno sa davvero quantificare con precisione questi costi. Soprattutto a livello locale, essendo gli enti locali comprensibilmente restii a fornire dati così «politicamente sensibili». E poi c'è il problema dei diritti acquisiti: tagliare con l'accetta questi costi significa in molti casi toccare emolumenti cui tutte quelle persone pensano di avere ormai diritto. Un taglio drastico scatenerebbe probabilmente una valanga di ricorsi.

C'è anche una ragione istituzionale. La parte forse più consistente degli alti costi della politica chiama in causa la responsabilità delle classi politiche regionali e locali. Un intervento del centro (governo e Parlamento) si scontrerebbe con la difesa della propria autonomia da parte di molte strutture periferiche. Si renderebbe allora necessaria una complessa contrattazione fra centro e periferia del cui esito positivo sarebbe lecito dubitare.

Ci sono poi le difficoltà politiche. I costi della politica sono rimasti fin qui un tema tabù sia con i governi di destra che con quelli di sinistra. Per due motivi. Perché qualunque governo voglia incidere seriamente su quei costi deve essere disposto a fronteggiare rivolte all'interno dei partiti che lo sostengono e negli enti locali controllati da quei partiti. E perché cercare di incidere su quei costi significa spostare gruppi e clientele (e quindi anche voti) verso i partiti avversari. Occorrerebbe davvero un accordo bipartisan, anzi un vero e proprio patto di ferro fra i partiti nazionali, per affrontare sul serio la questione.

C'è infine un'ultima ragione che dipende dagli orientamenti dell'opinione pubblica. Bisogna dire che i cittadini hanno, sulla questione dei costi della politica, atteggiamenti contraddittori. Diciamo che quella dei cittadini italiani è, per lo meno, una indignazione «selettiva». Nulla lo prova meglio dei risultati dei recenti referendum sull'acqua, grazie ai quali è stata abrogata una delle pochissime leggi che sottraeva alle grinfie dei partiti il controllo su «posti» e prebende: nel caso specifico, le nomine in società preposte ai servizi pubblici. La questione dei costi della politica, infatti, si intreccia strettamente con quella del ruolo del potere pubblico. Quei costi (stipendi dei rappresentanti a parte) non sono sostanzialmente riducibili senza un consistente dimagrimento dello Stato e degli enti pubblici locali, senza spostare, tramite privatizzazioni, verso il mercato compiti gestionali e prerogative oggi in mano al «pubblico» (ossia, ai partiti). Ma non sempre il cittadino che si indigna è anche disposto a trarre le dovute conseguenze, a consentire con politiche di riduzione del peso dello Stato (che contribuirebbero ad abbattere quei costi).

A parole, siamo (quasi) tutti d'accordo: i costi della politica vanno drasticamente ridotti. Passare all'azione richiederebbe però maggiore consapevolezza dei problemi da affrontare.

IL POPOLO E' SOVRANO!!!!!!

IL POTERE DEI PARLAMENTARI ELIMINA LA SOVRANITA' DEL POPOLO!!!!!!!

È sempre stato... un argomento capace di suscitare l'indignazione dei cittadini. Ormai, però, è diventato anche qualcosa d'altro: un vincolo economico, una palla al piede per il Paese, una fonte di spesa improduttiva che sottrae risorse alla crescita. È il tema dei costi della politica. Una parte di questi costi è documentata e documentabile. Gian Antonio Stella, sul Corriere di ieri, ha mostrato quanto pesino sulle tasche del contribuente italiano, fra indennità, rimborsi, eccetera, i parlamentari, i consiglieri regionali e gli altri rappresentanti eletti. E il confronto con gli assai più contenuti stipendi dei rappresentanti statunitensi è risultato davvero istruttivo.

I costi documentati sono peraltro solo la punta dell'iceberg. I dati precisi non sono facilmente reperibili ma è certo che il numero di coloro che in Italia vivono «di politica» (la cui fonte di reddito, cioè, deriva, direttamente o indirettamente, dalla politica) è enormemente cresciuto negli ultimi venti anni: c'è chi pensa che sia addirittura quadruplicato o quintuplicato. Non è affatto solo una questione di auto blu e di stipendi di rappresentanti eletti (che sono le cose che maggiormente colpiscono il cittadino). C'è molto, molto di più. Là fuori c'è un vero e proprio esercito, con famiglie a carico, di quelli che potremmo definire «professionisti politici occulti», persone che campano grazie al fatto che la politica (i partiti) li ha piazzati - a livello nazionale, regionale, locale - in consigli di amministrazione, all'interno di società pubbliche, e ovunque essa potesse allungare le mani. Persone che sono in quei posti, per lo più, non per le loro competenze ma per i loro legami politici.

Scommetto che nemmeno al ministero dell'Economia sono in possesso di dati precisi sui «costi reali» della politica in Italia. Ma è certo che se questi costi potessero essere seriamente ridotti, si darebbe un bel colpo alla spesa pubblica improduttiva, si libererebbero risorse diversamente impiegabili.

Solo che ciò è molto più facile a dirsi che a farsi. Per diverse ragioni, alcune tecniche, altre istituzionali, altre politiche. Fra le ragioni tecniche c'è, prima di tutto, come si è già accennato, il fatto che nessuno sa davvero quantificare con precisione questi costi. Soprattutto a livello locale, essendo gli enti locali comprensibilmente restii a fornire dati così «politicamente sensibili». E poi c'è il problema dei diritti acquisiti: tagliare con l'accetta questi costi significa in molti casi toccare emolumenti cui tutte quelle persone pensano di avere ormai diritto. Un taglio drastico scatenerebbe probabilmente una valanga di ricorsi.

C'è anche una ragione istituzionale. La parte forse più consistente degli alti costi della politica chiama in causa la responsabilità delle classi politiche regionali e locali. Un intervento del centro (governo e Parlamento) si scontrerebbe con la difesa della propria autonomia da parte di molte strutture periferiche. Si renderebbe allora necessaria una complessa contrattazione fra centro e periferia del cui esito positivo sarebbe lecito dubitare.

Ci sono poi le difficoltà politiche. I costi della politica sono rimasti fin qui un tema tabù sia con i governi di destra che con quelli di sinistra. Per due motivi. Perché qualunque governo voglia incidere seriamente su quei costi deve essere disposto a fronteggiare rivolte all'interno dei partiti che lo sostengono e negli enti locali controllati da quei partiti. E perché cercare di incidere su quei costi significa spostare gruppi e clientele (e quindi anche voti) verso i partiti avversari. Occorrerebbe davvero un accordo bipartisan, anzi un vero e proprio patto di ferro fra i partiti nazionali, per affrontare sul serio la questione.

C'è infine un'ultima ragione che dipende dagli orientamenti dell'opinione pubblica. Bisogna dire che i cittadini hanno, sulla questione dei costi della politica, atteggiamenti contraddittori. Diciamo che quella dei cittadini italiani è, per lo meno, una indignazione «selettiva». Nulla lo prova meglio dei risultati dei recenti referendum sull'acqua, grazie ai quali è stata abrogata una delle pochissime leggi che sottraeva alle grinfie dei partiti il controllo su «posti» e prebende: nel caso specifico, le nomine in società preposte ai servizi pubblici. La questione dei costi della politica, infatti, si intreccia strettamente con quella del ruolo del potere pubblico. Quei costi (stipendi dei rappresentanti a parte) non sono sostanzialmente riducibili senza un consistente dimagrimento dello Stato e degli enti pubblici locali, senza spostare, tramite privatizzazioni, verso il mercato compiti gestionali e prerogative oggi in mano al «pubblico» (ossia, ai partiti). Ma non sempre il cittadino che si indigna è anche disposto a trarre le dovute conseguenze, a consentire con politiche di riduzione del peso dello Stato (che contribuirebbero ad abbattere quei costi).

A parole, siamo (quasi) tutti d'accordo: i costi della politica vanno drasticamente ridotti. Passare all'azione richiederebbe però maggiore consapevolezza dei problemi da affrontare.

BASTA CON LE CASTE!!!!!

VERGOGNA!!!!! VERGOGNA!!!!!!! VERGOGNA!!!!!! VERGOGNA!!!!!! LUI DOVE ERA IN QUESTI TRENT'ANNI!!!!!!! Da trent’anni vive grazie ai soldi pubblici e ai beni del partito (vedi Montecarlo) Ma ora grazie al Fatto si finge moralizzatore in guerra coi costi del...la politica. Il lungo viaggio de il Giornale ne­gli sprechi di Stato ha dimostrato come, per migliorare i conti, la strada maestra sia quella dei tagli e non quella delle tasse. Ogni anno cen­tinaia di milioni di euro si perdono in un buco nero che alimenta inutili as­sistenzialismi e antichi privilegi. Tra questi i più odiosi sono quelli della po­­litica, una infernale macchina trita­soldi che sfacciatamente resiste a ogni cura dimagrante. Dal Quirinale a Camera e Senato e giù per Regioni e Province (senza contare i partiti), mi­gliaia di persone vivono il più delle volte alla grande a nostre spese senza che ciò produca un vero beneficio per la collettività. Il paradosso è che non c’è politico che non abbia tuonato contro gli sprechi e i lussi della casta alla quale appartiene, che non abbia giurato di porre rimedio. È successo anche in questi giorni, in occasione della finanziaria che Tremonti ha voluto di lacrime e sangue per i cittadini. Come è andata a finire lo sappiamo. Ci hanno fregato per l’ennesima volta. Lorsignori non hanno rinunciato a neppure un centesimo dei loro ricchi vitalizi. Ma siccome la vergogna non ha limite, a cose fatte e giochi chiusi, è ricominciata la gara a promettere che presto le cose cambieranno. Al momento in testa alla corsa dei Pinocchi c’è niente di meno che il presidente della Camera, quel Gianfranco Fini che negli ultimi due anni di balle ne ha raccontate in quantità industriale. Ieri il nostro eroe di moralità pubblica e privata ha scritto una lettera a il Fatto , il quotidiano di Travaglio che nei giorni scorsi, scambiandolo per un immacola-to e coerente statista, lo aveva supplicato di fare qualche cosa per fermare lo scempio degli sprechi in politica. Travaglio, per le sue battaglie civili, è specialista nel cercare testimonial affidabili. Per la giustizia di solito si affida a Spatuzza (quello che scioglieva i bambini nell’acido) e a Ciancimino (indagato per mafia e tanto altro). Per la moralità privata di solito prende per oro colato le verità di escort e ricattatrici. Ora, sulla moralità pubblica e per i costi della politica interlocutore è Gianfranco Fini, uno che notoriamente su questi temi è al di sopra di ogni sospetto. Va bene che è estate e anche i politici sono in vacanza, passi che Fini ha più tempo di altri in quanto ormai disoccupato (ovviamente di lusso), ma quando è troppo è troppo. Mi stupisce che i giornalisti a schiena diritta de il Fatto , quelli che non ne fanno passare una a nessuno, non abbiano subito obiettato a Fini una cosa del tipo: scusi presidente, invece di pontificare adesso, non poteva fare sentire la sua voce contro i privilegi della casta nei giorni scorsi, quando bastava che dall’alto della sua autorità proponesse un piccolo emendamento per evitare la grande truffa? Oppure: scusi presidente, lei ora promette che i tagli li farà presto, ma non è che va a finire come il giuramento di dimettersi se la casa di Montecarlo fosse risultata di suo cognato? Niente da fare, queste risposte non le sapremo mai, perché la prima regola dei giornali liberi e indipendenti è quella di non urtare i sinceri antiberlusconiani. Così si fa passare per salvatore dalla Casta uno che della Casta è il simbolo vivente. Sessant’anni da compiere, Fini non ha mai lavorato un giorno:da quarant’anni si fa mantenere, da trenta dal Parlamento.... Come segretario-presidente dei suoi partiti ha gestito una valanga di soldi pubblici e privati. Almeno in un caso, quello di Montecarlo, sappiamo l’uso che ne ha fatto (chiedere ai familiari). Non ci risulta che in tanti anni abbia mosso un dito per cambiare le cose. Anzi, i privilegi di presidente della Camera se li è tenuti ben stretti. Così come non risulta si sia preoccupato in questi ultimi tre anni delle spese folli del suo carrozzone. Ma adesso basta, si cambia. Parola di Fini-Pinocchio. Se c’è in giro qualcuno di più affidabile è meglio che si faccia avanti, prima che il partito trasversale degli incazzati assedi davvero il Palazzo!!!!!!

BASTA CON LE CASTE!!!!!

VERGOGNA!!!!! VERGOGNA!!!!!!! VERGOGNA!!!!!! VERGOGNA!!!!!! LUI DOVE ERA IN QUESTI TRENT'ANNI!!!!!!! Da trent’anni vive grazie ai soldi pubblici e ai beni del partito (vedi Montecarlo) Ma ora grazie al Fatto si finge moralizzatore in guerra coi costi del...la politica. Il lungo viaggio de il Giornale ne­gli sprechi di Stato ha dimostrato come, per migliorare i conti, la strada maestra sia quella dei tagli e non quella delle tasse. Ogni anno cen­tinaia di milioni di euro si perdono in un buco nero che alimenta inutili as­sistenzialismi e antichi privilegi. Tra questi i più odiosi sono quelli della po­­litica, una infernale macchina trita­soldi che sfacciatamente resiste a ogni cura dimagrante. Dal Quirinale a Camera e Senato e giù per Regioni e Province (senza contare i partiti), mi­gliaia di persone vivono il più delle volte alla grande a nostre spese senza che ciò produca un vero beneficio per la collettività. Il paradosso è che non c’è politico che non abbia tuonato contro gli sprechi e i lussi della casta alla quale appartiene, che non abbia giurato di porre rimedio. È successo anche in questi giorni, in occasione della finanziaria che Tremonti ha voluto di lacrime e sangue per i cittadini. Come è andata a finire lo sappiamo. Ci hanno fregato per l’ennesima volta. Lorsignori non hanno rinunciato a neppure un centesimo dei loro ricchi vitalizi. Ma siccome la vergogna non ha limite, a cose fatte e giochi chiusi, è ricominciata la gara a promettere che presto le cose cambieranno. Al momento in testa alla corsa dei Pinocchi c’è niente di meno che il presidente della Camera, quel Gianfranco Fini che negli ultimi due anni di balle ne ha raccontate in quantità industriale. Ieri il nostro eroe di moralità pubblica e privata ha scritto una lettera a il Fatto , il quotidiano di Travaglio che nei giorni scorsi, scambiandolo per un immacola-to e coerente statista, lo aveva supplicato di fare qualche cosa per fermare lo scempio degli sprechi in politica. Travaglio, per le sue battaglie civili, è specialista nel cercare testimonial affidabili. Per la giustizia di solito si affida a Spatuzza (quello che scioglieva i bambini nell’acido) e a Ciancimino (indagato per mafia e tanto altro). Per la moralità privata di solito prende per oro colato le verità di escort e ricattatrici. Ora, sulla moralità pubblica e per i costi della politica interlocutore è Gianfranco Fini, uno che notoriamente su questi temi è al di sopra di ogni sospetto. Va bene che è estate e anche i politici sono in vacanza, passi che Fini ha più tempo di altri in quanto ormai disoccupato (ovviamente di lusso), ma quando è troppo è troppo. Mi stupisce che i giornalisti a schiena diritta de il Fatto , quelli che non ne fanno passare una a nessuno, non abbiano subito obiettato a Fini una cosa del tipo: scusi presidente, invece di pontificare adesso, non poteva fare sentire la sua voce contro i privilegi della casta nei giorni scorsi, quando bastava che dall’alto della sua autorità proponesse un piccolo emendamento per evitare la grande truffa? Oppure: scusi presidente, lei ora promette che i tagli li farà presto, ma non è che va a finire come il giuramento di dimettersi se la casa di Montecarlo fosse risultata di suo cognato? Niente da fare, queste risposte non le sapremo mai, perché la prima regola dei giornali liberi e indipendenti è quella di non urtare i sinceri antiberlusconiani. Così si fa passare per salvatore dalla Casta uno che della Casta è il simbolo vivente. Sessant’anni da compiere, Fini non ha mai lavorato un giorno:da quarant’anni si fa mantenere, da trenta dal Parlamento.... Come segretario-presidente dei suoi partiti ha gestito una valanga di soldi pubblici e privati. Almeno in un caso, quello di Montecarlo, sappiamo l’uso che ne ha fatto (chiedere ai familiari). Non ci risulta che in tanti anni abbia mosso un dito per cambiare le cose. Anzi, i privilegi di presidente della Camera se li è tenuti ben stretti. Così come non risulta si sia preoccupato in questi ultimi tre anni delle spese folli del suo carrozzone. Ma adesso basta, si cambia. Parola di Fini-Pinocchio. Se c’è in giro qualcuno di più affidabile è meglio che si faccia avanti, prima che il partito trasversale degli incazzati assedi davvero il Palazzo!!!!!!

Giovanni Salamone

Stop alle Caste in Italia!!!!