domenica 26 febbraio 2012

De Pasquale, esempio tipico della Magistratura Italiana

"Siamo cani in un canile" scriveva Gabriele Cagliari nella struggente lettera lasciata ai propri cari prima di suicidarsi, il 20 Luglio del '93, in una giornata estiva che lui trascorreva in carcere, dove era "detenuto in attesa di giudizio" da quattro mesi, mentre il suo "aguzzino" De Pasquale, pubblico ministero spergiuro (gli aveva promesso la libertà il giorno prima) partiva per le ferie, come un qualsiasi impiegato dello Stato, ma con in più il privilegio di decidere il destino degli uomini.




La gente ha dimenticato, dimentica in fretta: è anche questo un dono divino che consente di rivivere più volte i sogni e le illusioni, e inconsapevolmente gli stessi errori.



Percio' non dobbiamo stupirci se nel processo Mills, anche per quella parte del popolo non necessariamente malata di antiberlusconismo, Fabio De Pasquale non e' considerato un giustiziere invasato senza rimorsi, ma un magistrato rimasto al suo posto dopo la buriana di "Mani pulite", a continuare la lotta alle presunte malversazioni. Le giornate del ricordo o della memoria hanno bisogno di numeri grandi e di tragedie collettive per suscitare compassione. Chi puo' piangere per il suicidio di un uomo in qualche modo legato a vicende lontane e poco chiare, in un mondo che sembra abitato solo da indignati, arrabbiati, moralisti e predicatori, in perenne ricerca di vittime esemplari da perseguitare?



Se poi c'è il valore aggiunto di colpire il personaggio pubblico più ricco, più chiacchierato, più invidiato, lo sceriffo che si nasconde sotto la toga per dieci anni si dedica al processo che lo stuzzica nella vanità e nell'orgoglio; i testimoni intimoriti si cucinano da soli, nel loro stesso brodo, e confonderli e indirizzarli diventa col tempo più facile.



Parte del popolo gli è amica: non vede l'ora di vedere alla gogna il gaudente, colpevole di ricchezza spropositata e di ambizioni illegittime agli occhi dei mediocri. Eppure, nonostante il favore del pubblico, il finale della commedia non e' quello già scritto: questa volta, con De Pasquale, al di là della valenza pseudopolitica che si vorrà dare alla sentenza, per noi ha vinto la vita, quel bene supremo che lui ha calpestato senza pietà e senza pagarne il conto. Ci sarà qualcuno a ricordarglielo?



sabato 25 febbraio 2012

I LECCACULO

I LECCACULO!!!!

Oggi la nostra amata Italia è un Organismo sempre più contaminato da 5 morbi, INVIDIA - IPOCRISIA - FALSITA' - OMERTA' – IGNORANZA, che uniti, alterano l’equilibrio di 65 milioni di cellule, noi italiani. Le cellule malate da questi 5 morbi aggrediscono l’organismo distruggendo le cellule sane. Quelle più deboli muoiono direttamente subito dopo l’aggressione, altre subiscono mutazioni cancerogene e si aggregano alle cellule infette. Le cellule cancerogene agiscono senza un obiettivo comune, e quindi, distruggendo le cellule sane fino alla morte dell’ Organismo, inconsapevolmente si autocondannano a morte. La cellula più soggetta a rischio contagio da parte di questi 5 morbi è oggi più che mai il “LECCACULO”, cioè la categoria più misera e miserevole dell’umanità. Disprezzo, odio e combatterò sempre con grande forza e orgoglio tutti i “ LECCACULO ” che dimostrano di esserlo nel lavoro, nelle amicizie, su internet, in famiglia, ovunque. Gente senza morale, senza orgoglio, senza alcuna dignita', senza personalità, gentaglia frustrata e incoerente, senza un minimo di autostima, i veri parassiti della societa'. I leccaculo sono i peggiori perché incorporano e esprimono tutti questi 5 mali contagiosi nascondendoli subdolamente SOTTO LA MASCHERA che indossano negando spesso di esserne affetti, apparentemente sorridenti e servizievoli solo per fini puramente materiali e egoistici. Pronti a dire di si a qualsiasi richiesta del proprio capetto spesso incapace, ricco, negligente, presuntuoso, altrettanto frustrato. Pertanto, proprio perchè spesso il capetto è palesemente immeritevole di tale “servizio”, tale “leccaggio” risulta ancora più avido e quindi gravoso per l’intero Organismo. Inoltre, il leccaculo spesso sciorina irriverenti pettegolezzi pure alle spalle del fruitore dei suoi “servigi”. Gentaglia spudoratamente senza ritegno, la cui testa autocerebrolesa oscilla su e giù ogni volta che qualche boss emette qualsiasi azione verbale, testuale o gestuale, e oltretutto fingendo di aver capito o di esser d’accordo, senza usare minimamente il proprio pensiero, come un automa transistorizzato o come un animale delobotomizzato. E’ evidente che è assolutamente impensabile per il leccaculo poter pensare con la propria testa e quindi è impossibile per lui esprimere critiche se non mirate al proprio collega nella dura battaglia di chi “lecca” di più, o mirate al proprio collega invidiato, in quanto essendo più capace non ha bisogno di leccare niente e nessuno per ricevere lodi e benemerenze. Il leccaculo sa criticare solo seguendo le suddette 2 modalità, vere meschinerie per tentare di ottenere favori senza alcun merito ! E infatti alla lunga certi meccanismi si ritorcono sempre sul “leccaculo” dando merito al migliore. La maschera peggiore che solo i leccaculo riescono a indossare è costituita dall’insieme di questi 5 gravissimi mali. Gentaglia che al mattino non riesce a guardarsi allo specchio con orgoglio provando una profonda e nascosta sofferenza, dettata anche dalla consapevolezza di essere meschino, incapace, vile, anche nel modo di relazionarsi con gli altri fuori dal contesto di lavoro se non con gentaglia della loro stessa risma. Cellule impazzite, che poi, arrivando a sera, frustrate e frustranti per la propria famiglia, per il proprio partner, fidanzata, marito o moglie che sia, scaricano sulle persone care il proprio malessere e la sfiducia in se stessi perdendo alla lunga anche quella dei propri cari. Disprezzo la compiacenza, il greggismo leccaculista, l’annullamento consapevole della propria volontà cognitiva e della propria coscienza critica per la paura di subire critiche dall’Alto o dai colleghi perchè tali critiche possono inficiare il percorso nella propria carriera comodamente pretesa senza merito. Spesso il lavoro stesso gli è regalato dai raccomandatari del Potentato locale, cioè i veri mafiosi e malavitosi della nostra cara Nazione. Mi fanno letteralmente schifo, un vero profondo ribrezzo, le persone prive di coerenza, di principi, di valori se non quelli materiali, che si prostituiscono nell’ anima e che violentano la propria coscienza solo per sfruttare il prossimo, per ottenere in modo vile e subdolamente incivile quel che non riescono a ottenere col merito delle loro capacità cognitive e professionali. Per quanto a volte alcune persone sono portate e a volte invitate a “leccare” per l’esigenza del sostentamento dei figli o pagamento del mutuo dell’impresa o della casa , non può comunque esistere alcuna motivazione così importante che giustifichi un simile comportamento proprio perché è sufficiente voler lavorare onestamente, usare il proprio cervello, e migliorarsi nel proprio lavoro con dedizione e profitto, criticando con rispetto ma con convinzione e determinazione per migliorare il modo di lavorare di tutti . Basterebbe quindi la sana vecchia buona volontà e un minimo di capacità, senza dover ricorrere a questo comportamento schifoso, che rende l’essere umano peggiore della bestia, consapevolmente irretito dal facile successo. Successo che tutti noi, leccando qua e là, potremmo ottenere tutti se non avessimo quel sacro senso di dignità umana, razionale e spirituale ,accompagnata al funzionamento della propria testa, binomio che permette all’uomo di elevarsi sopra gli animali e che ha permesso il progresso di cui oggi godiamo tutti. Non so quale tra questi 5 mali sia il peggiore, e il LECCACULO, ripeto, è certamente affetto da tutti. Spesso imprescindibilmente legati tra loro, estremamente contagiosi, divorano, consumano, logorano lentamente e inesorabilmente chi ne soffre. I più temibili sono i portatori sani, coloro che non se ne rendono nemmeno conto, perchè oltre ad esser più contagiosi non hanno mai pensato di curarsi con l'unica medicina disponibile : una lunga terapia di riflessione e umiltà. Il vaccino non è stato ancora scoperto, perchè lo si può cercare e trovare solo dentro ognuno di noi. E quello contro l'INVIDIA e IPOCRISIA non esiste proprio.


Chi è ignorante rendendosene conto, comportandosi di conseguenza nel rispetto dell'altrui pensiero e ascoltando il prossimo, certamente presto guarisce divenendo uomo credibile e affidabile a prescindere delle proprie convinzioni, perchè detentore del binomio vincente rispetto-conoscenza, ma.... come per l'invidioso e per l'ipocrita, non c'è cura per l'ignorante che si crogiola nella sua arrogante brama di prevaricazione. Indossa la sua maschera più comoda e lotta solo per apparire il dotto che non è. Io ringrazio Dio, e tanto, perchè sebbene non sia vaccinato da altri difetti di minor rilievo, e lungi da me pretendere o pensare di avere il diritto di prevaricare qualcuno, non sono stato contaminato da questi 5, a cui, per mia capacità e fortunata natura, risulto immune. E, francamente, ne vado fiero.

venerdì 24 febbraio 2012

ELIMINIAMO IL QUINTO POTERE "LA CASTA DEI GIORNALISTI"

Da quando, nel 2007, spopolò nelle librerie italiane il libro-inchiesta di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo, due giornalisti de “Il Corriere della Sera” intitolato “La casta. Così i politici italiani sono diventati intoccabili” ottenendo un successo notevole, abbiamo assistito all’inflazione dell’uso del termine “casta”. Abbiamo sentito parlato della casta dei politici, della casta dei magistrati, della casta dei privilegiati. A questo punto, si renderebbe necessaria l’analisi di una “casta” mai troppo spesso coinvolta nella prassi critica: la casta dei giornali.




Ebbene sì, uno dei maggiori sintomi di buon funzionamento di uno stato democratico è senz’altro quello di una corretta informazione, gestita nella maniera più libera e indipendente possibile. L’informazione è infatti uno degli strumenti più potenti di controllo del potere politico. Fatte queste dovute premesse, andiamo a vedere come vanno le cose in Italia.



COS’E’ LA CASTA? – Ci sembra doveroso iniziare con il dare una definizione del termine casta, termine ad uso inflazionato come abbiamo avuto modo di dire, ma forse utilizzato anche per scopi estranei ad esso. Il termine “casta” infatti, di induista memoria, indica un gruppo sociale chiuso caratterizzato da specifiche norme di comportamento e dal ruolo predeterminato. A voler considerare anche la definizione estensiva del termine, si potrebbe far coincidere la casta con un gruppo arroccato nella difesa di interessi particolaristici.



Edotti adesso del significato più puro dell’oggetto posto alla nostra attenzione, proviamo a vedere se, in Italia, si possa parlare di casta anche nell’ambito degli organi di informazione.



LA CASTA DEI GIORNALI – Informazione libera e indipendente come presupposti essenziali di ogni democrazia, abbiamo detto più sopra. E se i giornali diventassero la voce dei partiti politici, invece, che cosa accadrebbe?



Scenario che sembrerebbe a dire il vero non così tanto utopistico e lontano, almeno andando ad analizzare il sistema di finanziamento pubblico alla carta stampata.



In pieno clima di manovre disperate e innalzamenti scellerati di IVA e tasse, infatti, passa quasi inosservato il rischio di un taglio pesantissimo nei confronti dell’editoria che, guarda caso, andrebbe a colpire le cooperative no profit con buona pace del principio del pluralismo dell’informazione. Infatti dei 194 milioni stanziati per il 2012 a sostegno dell’editoria, 50 verranno utilizzati per il rateo di un debito della Presidenza del Consiglio con Poste Spa, 40 per coprire il costo della convenzione con la Rai e 20 destinati a coprire altre spese varie. E a pagare chi saranno? Sempre gli stessi, ovviamente, i giornali senza padrini. Si stima infatti la possibile chiusura di 100 testate; il cerchio si sta chiudendo intorno alla casta.



Per capire meglio il sistema di finanziamenti pubblici cui si è appena accennato basta scavare nel passato e precisamente ripescare una legge del 1981 alla luce della quale il legame tra informazione e politica non appare poi molto assurdo. Ad inizio anni 80, infatti, la legge permetteva ai giornali di partito di ricevere aiuti pubblici. Se tutto fosse rimasto come allora, i soldi che lo Stato sborserebbe oggi per sostenere gli organi di stampa si stimerebbero intorno ai 28 milioni di euro all’anno. La legge però cambia in fretta e così, nel 1987, si stabilisce come condizione sufficiente per la ricezione di finanziamenti pubblici, la dichiarazione di due deputati volta ad accertare l’appartenenza del giornale al movimento politico. Poteva finire così? Certo che no in quanto in politica funziona benissimo il principio del “panta rei” e, d’altra parte, bisognava rassicurare l’opinione pubblica sulla possibilità di una stampa estranea a logiche politiche. E così nel 2001 il sistema viene rivoluzionato nuovamente: il trucco dell’organo politico non è più concesso, adesso occorre essere una cooperativa.



Il problema per i partiti politici, in tutto questo cambiamento, qual è stato? Nulla di così radicale, in quanto i giornali già finanziati, sono stati semplicemente trasformati in cooperative. Semplice, no? Un esempio fra tanti potrebbe essere quello di Libero che era organo del Movimento Monarchico Italiano, trasformato poi in cooperativa e successivamente in s.r.l.



Il dubbio iniziale, a questo punto rimane: con questo sistema di finanziamenti pubblici e con il legame nemmeno troppo celato tra giornali e partiti, si può parlare di vera informazione, nel suo significato più autentico?



D’altronde, come si è detto all’inizio, la casta può essere considerata anche un gruppo chiuso alla difesa di determinati interessi. E se due più due da sempre ha fatto quattro…



CONSISTENZA DEI FINANZIAMENTI – La realtà di oggi però, per quanto detto più sopra, appare mutata se non altro per quanto attiene alla consistenza dei finanziamenti. C’è crisi d’altronde, e i soldi pubblici scarseggiano e vanno ben destinati. Allora, chi finanziare?



Innanzitutto c’è da dire che la parte maggiore dei finanziamenti è formata dai cosiddetti finanziamenti indiretti, ovvero rimborsi erogati per le spese elettriche, telefoniche, postali e via dicendo.



Non è facile in ogni caso trovare una legge di riferimento per avere dati oggettivi a riguardo. Il sistema di finanziamenti all’editoria infatti si fonda su una serie di leggi e provvedimenti emanate nel corso degli anni, che ha contribuito a creare un sistema confuso. Il risultato finale, però, appare essere uno solo: si arricchiscono le grandi testate, collegate sempre al potere politico come più su si è detto, mentre i piccoli editori o cooperative no profit non rappresentative di alcun potere politico si affacciano al mondo dell’editoria con molta fatica. Questo perché? Per il semplice fatto che i criteri di distribuzione dei soldi pubblici sembrano essere basati sui costi e sulla tiratura. Più si stampa, più si spende, più si è finanziati. Inoltre, occorrerebbe vendere almeno il 25% della tiratura. E, certo è, più si hanno agganci in alto, più tutto questo appare relativamente semplice da realizzare.



Qualche esempio del sistema appena delineato? La RCS è arrivata a prendere in un anno 23 milioni, la Mondadori 19 per le poste e 10 per la carta, Il Sole 24 ore 19, La Repubblica – Espresso 16, l’Avvenire 10 e via dicendo.



ABOLIZIONE DELL’ORDINE DEI GIORNALISTI? – Nel mese di luglio appena trascorso è stata proposta una modifica della legge 69 del 3 febbraio 1963, legge che regola il settore, attraverso un decreto che prevedeva l’abolizione dell’Ordine dei giornalisti, provocando in questo modo uno stravolgimento del sistema di accesso alla professione. Il tema merita un approfondimento alla luce dell’argomento trattato e avendo sempre in considerazione che si parla del sistema presente in Italia ovvero un sistema che come abbiamo avuto modo di vedere non funziona.



La riforma non è stata approvata, e quindi tutto è rimasto tale a prima. Ma, una modifica così profonda, era auspicabile per sconfiggere questo sistema chiuso dell’informazione?



Un Ordine, a qualsivoglia professione si riferisca, ha delle regole precise, che mira a far rispettare a tutti, indipendentemente e al di fuori da qualsiasi potere politico. Una sorta di garanzia sull’atteggiamento del giornalista, per attenerci al nostro tema, e a garanzia di ciò che è “deontologicamente corretto”. Detta così, sembrerebbe che l’abolizione dello stesso avrebbe favorito una vera e propria stampa di regime, slegando i giornalisti affiliati alle testate di partito dall’obbligo del dover rispondere del loro operato all’Ordine stesso. Ma l’Italia è un paese particolare, e l’informazione è sempre stata interessata da conflitti di interesse abbastanza palesi tanto che, lo stesso Ordine dei giornalisti, non appare così lontano da certe logiche politiche. Anzi, troppo spesso i giudizi deontologici sono impregnati di mediazione politica. Forse, quindi, un’abolizione dello stesso avrebbe potuto aprire un varco alla possibilità di un ripensamento di tutto il sistema di informazione in Italia.



LA LEGGE ANTI-BLOG E ANTI-INTERNET – Un totale ripensamento del sistema di informazione in Italia andrebbe rivisto anche alla luce della tendenza a creare veri e propri organi di stampa alternativi sul web. Se infatti la stampa cartacea è troppo spesso soggetta a controllo politico, l’unica vera e propria informazione libera anti-casta è quella che viene dal “basso”. Si moltiplicano blog, siti, ma anche gruppi sui social network atti a diffondere notizie di cui altrimenti non si avrebbe conoscenza, e a dar voce a chi può scrivere senza dover rendere conto al padrone.



Ma, proprio a fronte di questo atto di ribellione volto alla semplice informazione, “il padrone” ha preparato la risposta: il premier Silvio Berlusconi, infatti, ha deciso di inserire all’interno della legge anti-intercettazioni una norma che obbliga chi scriva su un blog o simili alla smentita entro 48 ore di una notizia qualora la parte interessata si sia sentita offesa. Altrimenti, quale sarebbe la conseguenza? Una multa, fino a 12.000 euro. E sembra proprio vero, quindi. In Italia la libera informazione non paga.



L’ECCEZIONE CHE CONFERMA LA REGOLA – E se quindi la Casta è la regola, basata su finanziamenti pubblici che permettono il controllo dell’informazione pubblica, esiste però chi ha rinunciato agli stessi fondi, ergendosi a splendida eccezione. Il Fatto Quotidiano, infatti, giornale fondato nel 2009 e il cui nome è un omaggio all’indimenticato Enzo Biagi, trova finanziamento unicamente dai proventi della pubblicità e delle vendite e, per enfatizzare la cosa, dal numero 7 del gennaio 2010 ha ritoccato il logo della testata aggiungendo la scritta “Non riceve alcun finanziamento pubblico”.



Se le prospettive quindi non ci possono apparire rosee nell’immediato, rimane la speranza di poter assistere alla nascita di altre realtà del genere. Perché un paese senza un’informazione libera, è un paese senza voce.



giovedì 16 febbraio 2012

 
S.M. RE GIORGIO ED I COSTI DEL QUIRINALE

Molti sostengono che il popolo non scelse proprio un bel niente e adducono l'esito delle votazioni a brogli elettorali, ma questa è un'altra lunga storia. Ora come ora poco importa di quel risultato, dato che la reggia c'è e il suo Re pure. Re Giorgio I, infatti, come tutti i suoi predecessori, non è stato eletto dal popolo, bensì dalla corte, quella parla...mentare; la Costituzione ha stabilito il ruolo del “Re civile”, che di simbolico ha ben poco, in modo labile, così da poter diventare oggetto di interpretazioni restrittive o estensive delle sue poco chiare funzioni.
Capirete già che tipo di interpretazione possa aver fatto l'attuale sovrano rispetto alla propria posizione; “il re regna, ma non governa”, però quanto diamine ci costa? Sua Altezza ieri ha fatto trapelare un comunicato per tutto il regno: “ Il Quirinale risparmia e il suo costo tornerà ad essere quello del 2008, cioè 245 milioni di euro l'anno!” Dove sono i tagli? Dov'è il risparmio?
L'unica rinuncia fatta dal troneggiante Napolitano è quella di aumentare ulteriormente le spese di corte, ci mancherebbe altro! La Corona inglese, quella si simbolo e tradizione di un Paese, costa quattro volte di meno della reggia italiana, l'Eliseo con il suo presidente,(i furbi transalpini hanno fuso “Monti e Napolitano” in un unico ruolo), costano tre volte meno; per non parlare dei sobrissimi tedeschi, la cui corte costa dieci volte meno che la nostra.
Secondo Il Giornale un rapporto che risale al 2000, metteva a confronto il Quirinale con alcuni equivalenti europei, con risultati a dir poco vergognosi: “ Il solo gabinetto del Segretario generale era composto da 63 persone. Il servizio tenute giardini da 115, 59 gli artigiani impegnati nella manutenzione dei palazzi: tra di loro 6 restauratrici di arazzi, 30 operai, 6 tappezzieri, 2 orologiai, 3 ebanisti e due doratori.”
La ben più simbolica e monumentale reggia di Buckingham Palace possiede soli 15 operai alle sue dipendenza, e non crolla mica in mille pezzi!
Certo con il senno di poi è sempre facile sentenziare, tuttavia una pur simbolica ma, forse, più sobria monarchia ci avrebbe risparmiato “ lacrime e sangue”

sabato 11 febbraio 2012

DIRITTO GLOBALIZZATO E SCHIZOFRENIA DEL BUON COSTUME


Lo abbiamo scritto, lo abbiamo documentato lo andiamo subendo da anni. Viviamo la dimensione disperante del Diritto Globalizzato, costruita ed imposta a uomini e popoli dai senza volto moderni a fine di Dominio. Il dominio della banca e dei brothers, degli omini in grisaglia che periodicamente si riuniscono per verificare il mal fatto e per mettere a punto nuove strategie. Quelli che stabiliscono le regole che siano le più funzionali al Potere trattando di economia, di geopolitica, di costume, di consumi, di immagine; di privatizzazioni solo in apparenza selvagge. E di Giustizia.

In troppi, quasi tutti, hanno ignorato ieri e continuano a negare oggi ciò che avvenne sul Britannia nel 1992 e che portò all’uscita dalla scena politica italiana ed europea di Craxi grazie all’intervento di una magistratura opportunamente attivata e pilotata (Operazione “mani pulite”); o ciò che con il costruito 11 settembre condusse alla filosofia globale della “National Security Strategy” avendo come obbiettivo l’eliminazione dei Popoli Canaglia.

Pax americana e Diritto internazionale.

Mandato di cattura europeo e manette senza frontiere.

Trattato di Lisbona e reintroduzione della pena di morte.

Eurojust e Tribunale dell’Aja dove, continuando ad utilizzare le “regole” di Norimberga,

si giudicano i nuovi criminali. Su indicazione di Usa/Israel che però si chiamano fuori dai Trattati a loro non ritenuti organici.

Diritto coloniale di fatto che ritiene il Tribunale internazionale come una Corte “la cui giurisdizione non si estende agli americani”. Così come viene imposto il divieto ai Tribunali nazionali di giudicare i reati commessi dai militari Usa (Strage del Cermis e uccisione di Calipari).

Ed è in una tale situazione di Giustizia Globalizzata e di costumi e di comportamenti imposti che s’innesta, in apparente paradosso, la schizofrenia del buoncostume profano. Ormai il dilagare della controriforma laica tende ad occupare tutti gli spazi in cui si dovrebbe vivere la dimensione della Libertà. Non c’è un disegno manifesto e, quindi, non c’è possibilità di tentare una analisi temporale e logica. Nessuna dietrologia è pensabile né esistono termini per tentare di fare del complottismo. Cose, peraltro, che noi disdegniamo in principio e come prassi interpretativa dei fatti. E non può aiutarci Orwell a comprendere ciò che sfugge alla categoria del politico. Né può esserci di lume la pur autentica attività della Casta togata intenta ormai a gestire il potere, quantomeno in Italia, dopo averlo sottratto agli altri camerieri delle banche.

Eppure non possiamo astenerci dalla descrizione dei comportamenti di quanti per protagonismo, per supponenza o per puro nihilismo vanno dettando i tempi anomali di un buoncostume demenziale.

Iniziarono gli Ermellini a condannare per stupro chi aveva attentato alle virtù di una giovane donna protetta dalla rigida corazza dei jeans e da allora via via i signori della Suprema Corte iniziarono a sentenziare su ciò che s'intendeva per bacio, quando questo aveva da intendersi violenza e quindi reato penale, sul palpeggio proibito anche se gradito, sullo stalking per lo più provocato da cercatrici di lucro e sulle tante, innumerevoli cose che attengono al costume di un popolo incanaglito, fatto a destra e a manca di bucomani che annusano e scrutano “dal buco della serratura alla ricerca di afrori che sanno di mutande sporche” (Strage della legalità – Giustizia Giusta, gennaio- febbraio) e perciò, forse, giustamente "regolato" dagli interpreti della norma.

E se non bastassero i togati nostrani intervengono in un delirio integralista i censori della Corte europea dei diritti dell'uomo che impongono la presenza del crocifisso nelle aule scolastiche accogliendo le perororazioni ed i ricorsi di frammassoni quali Franco Frattini e fornendo lietezza a noti ipocriti amorali quali Gianfranco Fini che è arrivato a sostenere che "la laicità delle istituzioni non può certo significare l'espulsione a forza di simboli universali come il crocifisso". Correttamente in linea con il paradigma delle fondamenta giudaico-cristane della civiltà europea.

Ed ancora. Il presidente del Coni Petrucci ed i suoi portaborse della FIGC si sono inventati come reato federale la bestemmia in campo che va punita con sospensioni e con ammende alimentando un dibattito grottesco e legando il destino di giocatori e di allenatori alle orecchie delle "barbe finte" mimetizzate a bordo campo per leggere il labiale e punire il presunto blasfema.

Noi non abbiamo simpatia per gli interdittori di crocefissi anche se la nostra paganitas viene ancora una volta ad essere discriminata dalla "legge". E non abbiamo - non fosse altro che per rispetto dell'estetica - alcun motivo per difendere i bestemmiatori. Ma non possiamo non denunciare la deriva della legge, trasformata ormai in incalzante giustizia-ingiusta, in un grottesco calderone dove si mescola di tutto senza alcun rispetto per i diritti e per le garanzie dei cittadini offesi ad ogni momento dai comportamenti balordi di giudici e di politici.

E siamo alla chicca finale.”Dire a qualcuno che è un gay è una vera e propria ingiuria, anche se la persona cui è rivolta l’espressione ha realmente tendenze omosessuali”, Parola della Corte di Cassazione ad anticipazione della Legge sull’omofobia. Commenti? Siamo alla razza se non ancora superiore, protetta. Dall’orgoglio gay al riconoscimento in sentenza di una onorevole diversità più diversa di quella dei normali. Pensavamo, stoltamente, che una tal cosa fosse prerogativa soltanto per gli impostori della religione olocaustica i cui negatori sono oggetto di persecuzione e galera. Se io dò del cretino a un cretino dichiarato, del brutto ad un brutto esteticamente riconosciuto, di un ladro di professione a un ladro, della puttana ad una peripatetica di mestiere, di un trans ad un “ posteggiatore” di Via Gradoli in servizio posso farlo. Del busone, del ricchione, del culattone – insomma - del frocio ad un gay che manifesta il suo orgoglio di esserlo è reato.

E non s’invochi la Costituzione e l’uguaglianza di tutti davanti alla legge. Nella Carta è scritto in una norma infinitamente transitoria, anzi sempre aggiornata da ben note leggi speciali, che io orgogliosamente antagonista perché moderato devo essere considerato un diverso non protetto e, quindi, un discriminato e un reprobo. Un criminale in continua attesa di giudizio.