giovedì 21 giugno 2012


Presidente della Repubblica,
domani, sabato 17 marzo, Lei chiuderà al Quirinale l’anno delle celebrazioni  per il nostro secolo e mezzo di storia unitaria. Lo farà in un clima forse più disteso rispetto al marzo 2011, ma certo non meno torbido e preoccupante. L’aria è ammorbata dallo stillicidio di “rivelazioni” sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia, sui dubbi che sollevano, sulle polemiche che scatenano. L’opinione pubblica è disorientata e pretende giustamente la verità. Ci sono stati dei morti, e non si può far finta di nulla.
Montagne di carte accumulate dalla magistratura. Per non dire della sterminata letteratura fiorita sul caso, delle cronache dei giornali, dei dibattiti televisivi... Eppure, la sgradevole impressione che se ne ricava è che ci troviamo di fronte a un film già visto mille volte nel corso di questo lungo, drammatico secondo dopoguerra:  quando la verità giudiziaria finisce per intrecciarsi o per scontrarsi, a seconda dei casi, con la verità politico-ideologica o con la ragion di Stato, alla fine, tutto quello che resta sono solo brandelli di verità. Sì ha la sensazione di essere risucchiati in una sorta di gioco di specchi, in cui è difficile distinguere l’immagine vera da quella riflessa; e in cui, però, ognuno può prendere solo quello che serve alla propria causa, ignorando tutto il resto.
Chi ha trattato con chi? Attraverso quali canali? E per ottenere che cosa? Fino ad oggi, a vent’anni di distanza dall’inzio di questa interminabile vicenda, queste semplici domande non hanno ancora delle risposte convincenti.
Perchè? Forse si è persa di vista la storia. E come sempre accade quando si cancella la memoria dei fatti traumatici o imbarazzanti, invece di elaborarli, si è costretti a navigare a vista, senza una meta, portandosi dietro la zavorra di veleni che il passato rimosso finisce inevitabilmente per rimettere in circolo.  Ecco perchè domani, Signor Presidente, Lei può aiutare il Paese, invitandolo a guardare con coraggio e onestà dentro se stesso, dentro la propria storia. Perchè è lì la radice dei nostri guai.
Perchè continuare a nascondere all’opinione pubblica che lo Stato convive –ora in modo conflittuale, ora in modo pacifico- con la mafia e con la sua cultura esattamente dal giorno in cui si formò come entità politica unitaria? Perchè non dire di Garibaldi e dei “picciotti” che gli aprirono le porte di Palermo o dei camorristi che gli garantirono il controllo sociale di Napoli? Perchè tacere sul “patto” tra il fascismo e le grandi famiglie aristocratiche siciliane per il mantenimento dell’ordine nell’isola?  Perchè non raccontare  di quelle stesse famiglie e della loro “trattativa” per garantire, poi, la sicurezza dello sbarco alleato? Perchè non far sapere che, conclusa la Seconda guerra, nel 1947, i vincitori anglo-americani imposero allo sconfitto italiano un trattato di pace con una clausola aggiuntiva, quell’articolo 16 che diceva: «L’Italia non perseguirà nè disturberà i cittadini italiani (...) per il solo fatto di avere, nel corso del periodo compreso tra il giugno 1943 e la data di entrata in vigore del presente trattato, espresso la loro simpatia per la causa delle Potenze  Alleate e Associate o di aver condotto azioni a favore di detta causa»? Perchè non mostrare all’opinione pubblica il documento segreto allegato, l’elenco di quei “cittadini” in cui comparivano i nomi di molti esponenti mafiosi? Perchè non dire che l’equilibrio dei poteri durante la guerra fredda si è retto per decenni proprio su quella clausola? E perchè non parlar chiaro, finalmente, su quello che accadde tra il 1989 e il 1994, dopo la caduta del Muro e il crollo di quell’equilibrio?
Signor Presidente, Lei domani può rendere un utile servizio al Paese. Può aiutarlo a prendere coscienza di  quel che è stato, e quindi a farlo crescere. Non lasci che il manto omertoso della retorica continui a coprire le contraddizioni e i nodi irrisolti della nostra storia. Se non vuole che siano i “papelli” a ricostruire la memoria del nostro passato, pronunci parole di verità. E gli italiani glie ne saranno grati.

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